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Donne e islam: “divorzio all’islamica”

L’idea che l’Islam sia “la meno tollerante delle religioni monoteiste” è un grande stereotipo che viene da un libro, Lo scontro delle civiltà dell’americano Samuel Huntington, uscito nel 1996. Seppur ci aveva preso sul fatto che la principale fonte dei conflitti nel mondo post-Guerra fredda sarebbero state le identità culturali e religiose, da allora (e dopo i continui attentati ancora di più) l’idea si è molto diffusa in un “Occidente” che va già normalmente avanti a suon di stereotipi, l’ostacolo più serio a qualsiasi tipo di dialogo, figuriamoci quello interreligioso.

Dialogo che farebbe scoprire subito come l’Islam condivida proprio con il Cristianesimo l’immagine di un Dio della Pace, un’etica liberatrice e perfino un’ermeneutica femminista: d’altra parte “senza interpretazione le religioni sboccano direttamente nel fondamentalismo” (è normale, considerando quanto tempo fa sono state scritte…)

Allo stesso modo, “non è cosi semplice affermare che sia l’Islam a portare arretratezza alle donne, la questione è molto più complessa”, sostiene Ersilia Francesca, docente di Gender politics nei contesti islamici all’Orientale di Napoli. Le storiche della Sis si sono incontrate, come ogni anno, presso la Casa Internazionale delle Donne, per discutere di attualità e storia, insomma come si è arrivati a oggi partendo da ieri.

Nell’istruzione, nel lavoro e nella politica si sono registrati importanti passi avanti per le donne. Vedi il Qatar, emirato del vicino Oriente, “Paese dove il rapporto tra accesso delle donne e degli uomini all’istruzione superiore è il più alto nel mondo (le donne che proseguono gli studi sono il 44%). Lo stesso Stato, però, è soltanto al 122esimo posto (su 145) nel Gloobal Gender Gap Report stilato dal World Economic Forum”. Molte più donne oggi ricoprono incarichi importanti (in Indonesia e Bangladesh sono a capo dello Stato), ma ancora, solo “il 25,2% delle donne in età lavorativa nei paesi arabi ha un impiego retribuito, contro un tasso medio mondiale del 50%” che è il doppio, ma sempre la metà del totale.

la marcia di Parigi del gennaio 2015 per la libertà di parola e in ricordo delle vittime di Charlie Hebdo
La marcia di Parigi del gennaio 2015 per la libertà di parola e in ricordo delle vittime di Charlie Hebdo (www.tpi.it)

Ciò che si sta affrontando ancora molto poco è però il Diritto di famiglia islamico“, insieme religioso e tradizionale, conservato dalla maggior parte dei Paesi musulmani, e questo “sicuramente mantiene molti elementi discriminatori nei confronti delle donne”:

  1. Anzitutto la donna deve sposare un solo uomo e che sia musulmano (per l’uomo non esiste lo stesso vincolo, la donna può essere anche ebrea o cristiana).
  1. La donna deve accettare l’intervento di un wali, il tutore e curatore matrimoniale, di solito il padre dell’uomo (che esprime però la volontà della sposa). “Egli rappresenta il perfezionamento dell’istituto matrimoniale e come tale deve essere musulmano, di sesso maschile e sano di mente” (InStoria).
  1. E’ ancora prevista la poligamia (sancita da un versetto del Corano, insieme a “l’obbligo di equità e giustizia verso le proprie spose”). La poligamia è stata abolita solo in Turchia nel 1926 e in Tunisia nel 1956 e costituisce ora “una fattispecie delittuosa”. Alcuni legislatori hanno riconosciuto inoltre alla donna il diritto alla “clausola monogamica”, il cui mancato rispetto legittima la moglie al diritto di chiedere il divorzio. “Il divieto della poligamia sfocia però in un sempre più frequente ricorso al ripudio della propria donna per sposarne un’altra. Il ripudio la costringe spesso a dover tornare presso la famiglia di origine, per mancanza di mezzi di sostentamento, e una volta trascorso il periodo di ritiro legale (idda), perde ogni diritto successorio e al mantenimento, e nel caso vi siano figli può anche perderne la custodia”.
  1. Permane ancora l’idea della sottomissione della donna al marito in cambio del dono nuziale (secondo il contratto matrimoniale, “se la donna vuole godere dei propri diritti deve acconsentire ai rapporti sessuali, coabitare col marito, uscire o ricevere visite solo con il suo consenso, seguirlo nei suoi viaggi lavorativi (salvo clausole contrarie) e infine non deve mostrarsi in pubblico senza velo. Nel caso in cui la donna non rispettasse i suoi doveri, l’uomo può privarla degli alimenti o ancora ricorrere al ripudio. Tuttavia la moglie ha il diritto di negarsi al coniuge nel caso in cui sia malata, incinta o con il ciclo, si trovi in pellegrinaggio, e nel caso in cui il marito non abbia pagato il dono nuziale”).
  1. Permane il ripudio unilaterale, solo da parte del marito (e comunque dietro pagamento di una certa cifra che può fungere da deterrente).

Insomma, la maggior parte delle donne musulmane devono ancora obbedire a tutto questo, in cambio saranno le Regine del loro Regno! (composto da quattro mura): un diritto che risponde al concetto della “complementarietà di genere”, rispetto a quello della “parità”.

perché la donna deve portare il velo secondo la Lega Musulmani Ticino... cioè, siccome le mosche rompono le scatole, la caramella deve rimanere incartata a vita?
Perché la donna deve portare il velo secondo la Lega Musulmani Ticino… cioè, siccome sono le mosche a rompere le “scatole”, è la caramella che deve rimanere incartata a vita?

Ma se pensiamo “al matrimonio preislamico, dove la donna veniva considerata un oggetto vero e proprio concesso dal padre al marito dietro compenso e dove la poligamia non aveva limiti e la prostituzione era imposta, allora la rivalutazione della donna diventa palese…”.

Negli ultimi anni qualcosa sta accadendo: “nel codice marocchino riformato nel 2004 e in altri Paesi come Algeria ed Egitto, si sta cercando di sottolineare l’uguaglianza dei generi e limitare la poligamia, solo se si ha la possibilità economica e se la prima moglie è d’accordo”. Sempre in Marocco, l’8 marzo 2004, è stato eliminato il “potere di costrizione”: “la donna non può più essere costretta al matrimonio, d’altra parte, non le è ancora stato concesso di contrarre le nozze autonomamente” (v. la presenza del wali). Di fatto “non ha potere decisionale, aspetto che relega la figura femminile sempre a un grado inferiore rispetto a quella dell’uomo, anche se il Corano ha rivalutato la figura della donna soprattutto sul piano religioso” (rispetto al pre-Islam). (“In Siria e in Marocco le donne possono predicare i precetti islamici in Moschea – prerogativa altrimenti maschile”).

“In Algeria il codice di famiglia del 1984 legittimò il costume sostenendo i diritti del maschio e della Sharia” (la sacra legge islamica), “come l’obbligo d’obbedienza alla parte maschile della famiglia”, racconta Marisa Fois. “A partire dall’’89 uomini e donne, anche non laiche, “uguali davanti alla legge”, si associarono per chiedere l’abolizione del codice della famiglia, ma solo nel 2005 arrivarono le prime modifiche.

I cambiamenti sono lenti anche perché il movimento delle donne è diviso tra femminismo laico, femminismo islamico e femminismo islamista

[continua con Donne e islam: la gender jihad…]

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