“Se non sapete chi sono loro, allora siete vecchi”. Il servizio del programma di Rai2 Nemo sul gruppo del momento tra i giovanissimi, la Dark Polo Gang, inizia con un’affermazione che ha del vero, ma è incompleta. Probabilmente se non li conoscete avete gusti musicali decenti, indipendentemente dall’essere maggiorenni – ovvio che scendendo di età aumentano le abilità nell’uso dei social network, promotori nel bene e in questo caso nel male di tutto ciò che viene prodotto.
A condurre la trasmissione, con una lunga intervista al gruppo trap romano, è stato Amir, rapper romano/egiziano di Tor Pignattara, una volta voce degli immigrati di seconda generazione, ora a quanto pare non più. Cresciuti in ambienti tutt’altro che disagiati, i membri della Dpg ammettono tra il candido e lo strafottente di aver iniziato la carriera “musicale” per noia, per fare soldi, secondo la filosofia del triplo 7. Che non ha a che fare con la religione, il numero di Dio contrapposto al 6 numero della Bestia, ma è solo il jackpot delle slot machine. Nessun contenuto, nessuna velleità artistica. Il trap va di moda, non serve nemmeno essere intonati, alla peggio ci pensa l’auto-tune, il correttore vocale che fa tanto Cher, ma ultimamente spopola tra gli pseudo-rapper.
Come Sfera Ebbasta, ospite di Matrix su Canale5 in una puntata sempre sul filone dei giovani ricchi. Un personaggio così di spessore da non sapersi nemmeno spiegare perché i rapper vengano prevalentemente dalle periferie e non dal centro… Tra gli invitati anche Annalisa Chirico, presentata da Piero Chiambretti come “giornalista ed esperta di costume”, che ha la sua teoria economica: “dobbiamo pensare che quando [i figli di papà] pagano una bella cena in un ristorante stellato, stanno dando da mangiare alle famiglie che lavorano in quel ristorante, permettono al cameriere di portare a cena la sua fidanzata, di pagarsi il weekend al mare. Per fortuna i soldi devono circolare”. Già, ma perché allora non favorire altre tipologie? Se li fai circolare negli stessi ambienti, che circolazione c’è? Non è solo un modo per aumentare il divario? Ma l’esperta di costume è lei…
Ricchezza, ostentazione, brama di lusso, ma anche giovinezza, sembra tornato tutto prepotentemente attuale, favorito dallo sviluppo dei social network. In questo caso il più adatto è Instagram, poche parole, solo immagini. L’impatto è immediato, tanto le foto parlano da sé. L’ossessione di mettersi in mostra non è più considerata volgare, anzi piace ai follower, un po’ affascinati e un po’ invidiosi, che si accontentano di sognare un mondo inaccessibile, col naso appiccicato alla vetrina di un negozio troppo caro anche per entrarci.
Recentissima è la trasmissione #Riccanza, con tanto di hashtag davanti al nome, per essere più al passo coi tempi. Qui giovani rampolli di imprenditori facoltosi raccontano la loro vita, la loro “normalità” di essere nati milionari. Non è una colpa, non quella almeno. Ma la vacuità dei discorsi e dei cervelli, la distorsione dei valori, quella sì. Il tutto accompagnato da un fastidioso sottofondo musicale “ciao poveri”, che sarà anche parodistico, ma non è comunque venuto benissimo. Il problema non è la ricchezza, il problema è quando questa viene usata come parametro per valutare la qualità, che sia nella musica (vendo più di te), nell’abbigliamento (costa di più il mio), a tavola ecc ecc.
Si può criticare senza passare per anticapitalisti. L’impressione è che manchi una filosofia dietro un certo tipo di imprenditoria. Perfino Steve Jobs, che non era di certo Robin Hood, ha portato avanti dei concetti interessanti, lo stesso Bill Gates, demonizzato forse oltre le proprie colpe, ha comunque avuto un impatto importante nella vita quotidiana di tutti. Fino a risalire ad Adriano Olivetti, teorico del reinvestimento del profitto – che pure c’era – per il benessere comunitario. Altrimenti, come ha detto il filosofo Diego Fusaro (studioso di Marx in un’ottica contemporanea, qualsiasi cosa voglia dire) in un dibattito televisivo con Briatore, siamo al Faraone che dà lavoro sì, ma agli schiavi che trasportano i blocchi di pietra.
Questo patinato mondo di sfoggi sta sempre più influenzando la politica, in Italia siamo precursori, dalla Milano da bere in poi, ovviamente con l’esponente principe Silvio Berlusconi. In questo abbiamo preceduto gli Stati Uniti di 20 anni, per una volta, anche se non c’è da essere orgogliosi. “L’uomo del popolo” Donald Trump ha vinto nonostante, o forse grazie all’uso di Instagram di cui sopra, alle foto su aerei privati, palazzi col suo nome e lusso a non finire. Non a caso fra i suoi sostenitori c’erano Paris Hilton e Dan Bilzerian (anche qui, se non sapete chi è forse siete vecchi!), il pokerista professionista che non si fa fotografare se nei paraggi non ci sono almeno quattro-cinque modelle, piscine, varie ed eventuali. E a breve la Thailandia avrà il nuovo re che in questo non deve imparare niente da nessuno.
La consolazione è che comunque nel mondo reale si continua a parlare di economia condivisa e sostenibile, antidoto alla crisi che non è certo finita solo perché il dio denaro è tornato in auge. Tanto per una piccola fetta del pianeta non è mai cominciata. Occupy Wall Street sosteneva che l’1% ha la concentrazione delle risorse e il 99% paga il prezzo. Bisogna vedere quanti di questo 99% vuole veramente equità sociale e non protesta solo sognando di passare dall’altra parte.