[continua da Le tematiche ambientali non sono noiose… anche perché si muore! (1)]
Negli ultimi anni le evidenze degli effetti del riscaldamento globale (desertificazione, inondazioni e uragani, malattie, scioglimento dei ghiacci) hanno convinto anche gli scettici che il problema c’è e va affrontato. Anche se, perfino in un ambito del genere, c’è e perdura il negazionismo: ¼ degli americani nel 2015 non crede nel cambiamento climatico, ma si può parlare di indottrinati, visto che è gente che partecipa a conferenze organizzate dai diretti “interessati dell’inquinamento”, ovvero le industrie petrolifere e del carbone, come mostrò un’inchiesta di Vice su “L’avanzata degli oceani“. Il grande problema è che, tra questa minoranza di “negazionisti dell’ovvio”, c’è anche il neo-presidente Trump che in un sol colpo potrebbe rendere inutili tutti gli sforzi fatti da Obama…
“Il cambiamento climatico è oggi l’argomento più rilevante nella vita di tutti i giorni“, sostiene Jacopo Monzini dell’Ifad (Fondo Internazionale per lo sviluppo Agricolo delle Nazioni Unite), “tuttavia ancora se ne parla poco o a tratti. Oppure si riporta, ma non si informa, nei giornali c’è più il concetto di catastrofe rispetto al ma che cosa posso fare per migliorare?” L’Ifad ha svolto uno studio che ha rivelato che “la maggior parte dei migranti sono contadini che hanno abbandonato le loro terre per mancanza di opportunità economiche o perché stavano semplicemente sopravvivendo. L’80% della produzione africana viene dai piccoli produttori che dipendono solo da ciò che la terra offre. La gente ancora non capisce che le implicazioni sono enormi: cambiamento climatico non solo significa, per esempio, che non si va più a sciare, ma che non ci sarà più caffè o che il pane costerà tantissimo, o che determinati alimenti a cui eravamo abituati scompariranno, eccetera eccetera. Un tunisino su tre oggi è pronto a migrare a prescindere. Al Cairo ci sono discariche a cielo aperto”, e si fa finta di nulla: “insomma non tutto è colpa del cambiamento climatico, non bisogna farlo diventare una giustificazione, ma è una realtà a tutti gli effetti”.
Tutto è collegato. Grammenos Mastrojeni, autore del libro Ora o mai più, dice che abbiamo 10 anni per salvarci. Le alterazioni all’ambiente provocano alterazioni alle condizioni di fruibilità dei servizi eco-sistemici (produttività, purificazione, equilibrio bio-sanitario, clima, identità culturali, empowerment). C’è insomma un forte nesso ambiente-stabilità che non va sottovalutato, o si creano competizioni pacifiche o è la fine: “stiamo già a 78 conflitti in corso nel mondo che hanno come concausa il cambiamento climatico. Purtroppo il degrado ambientale è più forte nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), e senza di loro non si può raggiungere l’obiettivo della mitigazione stipulato con l’Accordo di Parigi tra 196 Paesi. Forse allora la priorità è pensare a prevenire prima il loro collasso: il lago Ciad si è ristretto di 18 volte in 50 anni. Dal lago all’Isis si passa velocemente: il nesso si è visto in Siria, dove ci sono stati 4 anni di siccità dalle campagne in città dove poi si sono verificate le prime rivolte. La crisi in Darfur forse ha solo cause climatiche: poche riserve d’acqua che inducono lotte tra pastori e agricoltori. Il gruppo estremista Boko Haram uguale, può essere visto come una via di fuga sempre dalla siccità: se anche quest’anno non avrò un raccolto forse mi unirò alla causa. Dalla colonizzazione all’allevamento, alla desertificazione, all’instabilità, alle guerre. L’ambiente è sempre stato sentito come un limite allo sviluppo, ma è vero il contrario. Il degrado fa presto a rivelarsi se perdiamo la vitalità di 12 milioni di ettari l’anno, ovvero una superficie grande come la Bulgaria: dal degrado alla disgregazione. Allora l’idea dello slow food in Italia che opera in materia di recupero terre, clima, mari, forse è quello che si dovrebbe fare anche nei Pvs”.
Approfittare della svolta epocale: dalla Conferenza sul Clima di Parigi (Cop21) del 2015 è “l’inizio delle implementazioni” (la dotazione di strumentazioni quali una tassazione globale sul carbone che sarebbe l’azione più forte e auspicabile, insieme a un sistema di finanziamenti e scambi tecnologici…).“C’erano 50mila persone a Parigi, a livello scientifico e di istituzioni alte per la prima volta il tema è realmente seguito”, dice Francesco La Camera del Ministero dell’Ambiente, “ciò che bisogna superare ora è il distacco tra le intenzioni, l’informazione e l’operatività”. Considerando ogni altro aspetto, come “la giusta transizione” richiesta dai sindacati per la riconversione del lavoro, dal carbone al rinnovabile, per esempio.
E si va avanti (sperando di non essere troppo lenti!): dal 30 novembre 2015 siamo arrivati al 7 novembre 2016 e si è riaperta la Conferenza sul clima, la Cop22 a Marrakech, che si concentrerà su come applicare l’Accordo di Parigi. Il nostro paese deve conformarsi agli obiettivi fissati dall’Ue: un taglio complessivo dei gas serra del 40% al 2030, con obiettivi per ciascuna nazione che vanno negoziati coi singoli governi. “Ma l’Italia li ritiene troppo penalizzanti e chiederà di cambiarli”, riporta l’Ansa.
“Tuttavia, uno studio di Enea (Ente Nazionale Energia e Ambiente), Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e Ministero dell’Ambiente rivela che, con le attuali politiche e misure, l’Italia non raggiungerà al 2030 il suo target di riduzione dei gas serra. Occorre intervenire in tre settori chiave: energia rinnovabile e risparmio energetico, mobilità non inquinante, e infine riqualificazione degli edifici, per renderli meno energivori”. Sono previste verifiche quinquennali degli impegni presi, a partire dal 2023, e dal 2050 non si potrà più bruciare combustibile fossile. In teoria…
Dunque che possiamo fare? Essenzialmente “è necessaria un’energia elettrica data da fonti rinnovabili, e anche i trasporti devono andare con combustibili alternativi, come il solare a concentrazione (impegno diretto dell’Enea) che prevede un accumulo termico da utilizzare quando l’energia solare non c’è, così come funziona anche il Ccus (Carbon Capture Usage and Storage), un uso sostenibile dei combustibili fossili”, dice Giampiero Celata dell’Enea. “Già con la direttiva 2014-94 UE che trattava i combustibili alternativi per i trasporti, si sottolineava la necessità di ridurre gas alteranti e fossili per avere quelli naturali, gpl, idrometano, idrogeno, biocarburanti, metano sintetico… Ciò che è importante adesso è aumentare la distribuzione. Sull’illuminazione pubblica si è visto che solo in Italia esistono 10 milioni di punti luce! Ma Enea sta lavorando al progetto Lumiere che intende far risparmiare energia fino al 35% solo con l’utilizzo di led, lampade al sodio e/o alogeni metallici, insomma sistemi di alimentazione efficienti. Cosa che si può fare anche per la domestica”. L’idea che si sta concretizzando oggi delle smart cities “intende fare proprio questo: proporre un modello efficiente per illuminazione, mobilità, edifici, ambiente, infrastrutture e partecipazione”.
“L’Europa è il primo mercato mondiale per esportazione e importazione di beni (l’Italia sta rispettivamente a 6° e 7° posto)” quindi ha molto più peso rispetto a quello che si può pensare, ed è un’opportunità: secondo l’Accordo è previsto che “i paesi più ricchi dovranno aiutare finanziariamente quelli più poveri e per quanto riguarda l’Italia l’intenzione è quella di stabilire rapporti bilaterali con l’Africa”.
“Se pensiamo che per una tazza di caffè l’intera filiera richiede 140 litri d’acqua…è un po’ lungo insomma… sono numeri drammatici per le risorse idriche”, dice Marcello Peronaci dell’Enea. È per questo che l’Ente è già impegnato nella cooperazione in varie aree, soprattutto nelle isole-stato, come Vanuatu dove si occupa di irrigazione (230mila euro di finanziamento per 280 tonnellate all’anno di riduzione di CO2), nelle isole Salomone, alle Maldive, a Grenada, Dominica… dove ci si occupa anche dello sfruttamento dell’energia del mare (moto ondoso). Chi decide su questi progetti è un comitato composto da Italia, Austria e Spagna. L’Enea è inoltre presente nel comitato operativo sismico e con Teheran collabora attraverso Matrix TT, piattaforma digitale per la trasformazione tecnologica.
Insomma le risorse ci sono, il tempo c’è, le intenzioni pure e le leggi anche… bisogna solo fare del nostro meglio, ognuno quello che può, e ricordando le parole dell’artista Alejandro Jodorowsky quando dice che è stufo di pessimismo: “quando la razza umana è in pericolo di morte, cambia sempre. Quando comincerà a morire la gente per le strade, la faremo finita con l’inquinamento e altre atrocità. Reagiremo per necessità. Non è mai troppo tardi. La scoperta dell’energia nucleare ha portato a invenzioni benefiche per la medicina e la scienza. Come in natura, quanto più progrediamo nel male, tanto più lo facciamo nel bene“. Chi vuole può, il problema è che finora nessuno aveva mai voluto.