La vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi porta ad alcuni ragionamenti.
Per la prima volta l’Italia è stata precursore e non ha copiato dagli U.S.A., noi l’imprenditore con i capelli improbabili, divorzi, belle donne, intrattenitore, stile esagerato l’abbiamo avuto 22 anni fa. Certo, in America tutto è più grande, si dice. E infatti le sparate di The Donald hanno superato di gran lunga quelle del Silvio nostrano, che almeno non si è mai sognato di dire di non fare entrare nessun musulmano.
Soprattutto si è capito che è un momento di rottura, ma non come vogliono far credere la destra ufficiale (Fratelli d’Italia, Lega, Front National) o quella ambigua che attinge a sinistra (MoVimento 5 Stelle), cioè della vittoria del popolo contro l’estabilishment. Forse ho perso qualche puntata, ma da quando un tycoon che investe solo per fare soldi – che è anche una cosa legittima – senza seguire un concetto di fondo (banalmente come Olivetti o perfino Jobs), evadendo tasse, andando in bancarotta più volte, è un uomo del popolo? Da quando un anti-abortista, pro-life al concepimento ma pro-secondo emendamento alla nascita (cioè pro-armi), rappresenta la volontà di rinnovamento?
Il cambiamento vero, in parte, l’ha inquadrato Marine Le Pen. “Non è la fine del mondo, ma di UN mondo”, sicuramente in crisi di valori, “sta iniziando (o meglio tornando, ndr) il nostro mondo”, della destra populista, protezionista, xenofoba. Antiglobalizzazione come la sinistra, solo che la sinistra rifiuta la globalizzazione come imposizione di modelli prettamente occidentali nel contesto mondiale. Che è diverso dal chiudersi in sé stessi, con la paura dell’altro, delle diverse culture e tradizioni. Niente di nuovo nell’età contemporanea, ciclica tra autoritarismo e progressismo, l’uno concausa dell’altro. La Storia si ripete, disse il militare e storico ateniese Tucidide circa 400 anni prima di Cristo. “Chi non conosce la Storia è condannato a ripeterla”, aggiustò il tiro George Santayana, filosofo spagnolo vissuto tra Ottocento e Novecento.
L’età contemporanea si fa convenzionalmente partire dalle rivoluzioni settecentesche, la prima industriale e quella francese, senza dimenticare lo sviluppo del pensiero illuminista, teso a garantire i diritti fondamentali contro i dispotismi e le diseguaglianze sociali. Poi l’Ottocento inizia con Napoleone e peggio ancora, nel 1814, la Restaurazione. È da metà secolo che cominciano le rivolte contro l’Impero Austro-Ungarico, in Italia ma ovviamente non solo. E poi nascono le dottrine socialista e marxista, contro l’alienazione e lo sfruttamento dei lavoratori. La ruota sembra girare verso il progresso, le conquiste, finché ovviamente non fa paura. E, sinteticamente, la pima parte del Novecento, è caratterizzata da dittature reazionarie, borghesi, nate palesemente per contrastare la lotta di classe, ma spacciate per popolari. Solo negli anni ’60 la rivoluzione sociale, studentesca, dei lavoratori, delle donne, delle minoranze etniche.
Qualcosa si può ritrovare in questo inizio di secolo, che come i precedenti vira a destra. Il sistema classico ha fallito, è in crisi di identità e di valori e la sconfitta di Hillary Rodham è l’esempio lampante. Troppo vecchia scuola politica, legata alla finanza di Wall Street, moglie di un ex presidente. Già con i Bush e in parte con i Kennedy si erano avute sensazioni dinastiche, poteva anche bastare così. E già c’è chi lancia l’idea Michelle LaVaughn Robinson in Obama per il 2020, dimostrando di non capire troppo la gravità della situazione. Se i democratici (nel senso del partito) in America piangono, in Italia non ridono. I continui flirt tra pseudo-centrosinistra e centrodestra fanno capire da sé il diffuso malcontento e la rottura è vicina, sperando non serva aspettare la seconda metà del secolo, come in passato, per vedere la ricostruzione e la rinascita degli ideali.
Muri, Trump, Orbán, Salvini, Le Pen, Erdoğan, Putin (il Novecento russo si era chiuso con la speranza di proseguire le aperture di Gorbačëv), Albe Dorate, Ukip che crescono e sono sottovalutati. Certo ormai dovremmo essere più consapevoli di cento o duecento anni fa. Ma appunto, “chi non conosce la Storia è destinato a ripeterla”.