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La mafia e i suoi stereotipi televisivi

La mafia in tv vende e fa ascolti. Probabilmente è questo il motore, insieme spesso (ma non sempre) alla denuncia, che ha portato alla realizzazione di oltre 130 film in Italia e nel mondo, con il loro carico di luoghi comuni. A riordinare le idee ci ha pensato Cirino Cristaldi nel libro La mafia e i suoi stereotipi televisivi, edito da Bonfirraro.

Apripista è stato Pietro Germi, che sulla base dell’omonimo testo di Giuseppe Guido Lo Schiavo, ha portato sul grande schermo In nome della legge. La pellicola servì a rompere un tabù, il parlare della mafia in Sicilia, della notoria omertà. Gli ingredienti che ora consideriamo “classici” ci sono tutti, i codici comportamentali, l’onore, la famiglia, il ruolo comprimario delle donne. Il mafioso “vecchio stampo” è nemico dello Stato, ignorante, arretrato culturalmente e di estrazione agricola. Solo successivamente si passerà a una rappresentazione più complessa, confusa con le istituzioni, quasi “imprenditoriale”.

Tony Ciccione dei Simpson
Tony Ciccione dei Simpson

La nascita della mafia si fa risalire al sistema latifondista feudale ancora in vigore nella Sicilia dell’Ottocento, organizzato secondo regole gerarchiche sostitutive dell’ordine legale, data un’assenza quasi totale dello Stato. Il nome “mafia”, di origine incerta, viene con ogni probabilità dalla tribù araba Ma’afir, che dominò Palermo. I fenomeni migratori garantirono l’esportazione oltreoceano, mentre dopo la Seconda Guerra Mondiale l’infiltrazione politico-amministrativa consolidò gli “affari” e diede a Cosa Nostra una dimensione di più ampio respiro.

Eppure secondo gli stereotipi più diffusi, oltre a lupara e coppola, continua ad esserci la divisione netta fra la parte sana della società e delle istituzioni e la parte criminale, vera forse soltanto agli albori dell’organizzazione. Dietro i traffici, racconta Cristaldi nel suo volume, vi sono spesso giovani laureati di città, aperti al mondo esterno e sempre in movimento, contrapposti al grande vecchio autoritario, mai uscito dalla città natale. E le donne non sono poi così marginali come si crede, anzi sono fondamentali nella gestione domestica ed economica, come le indagini di Roberto Saviano sulla Camorra hanno reso noto al vasto pubblico. I costumi sono mutati e il periodo stragista ha anche smentito la credenza che gli omicidi fossero solo una questione interna, regolata da codici contrari agli assassini di donne e bambini.

Johnny Stecchino
Johnny Stecchino

Come dicevamo, o meglio come diceva Cristaldi, la mafia in tv vende, fa ascolti. Negli Stati Uniti l’industria cinematografica ha trattato il tema già dal 1906, con La mano nera, ma un primo boom ci fu negli anni ’30, complice il periodo del proibizionismo, che portò a raffigurare i criminali con un’aura di positività. Viste le polemiche, si passò a far morire i protagonisti, monito per chi avesse pensato ad emulazioni. Il binomio Mafia-Sicilia si deve, come scritto, a Pietro Germi, ma è stato un altro film a fare da spartiacque: la trilogia de Il padrino di Francis Ford Coppola, tratta dal romanzo di Mario Puzo edito pochissimi anni prima. I gangster diventavano abili manovratori, connessi a doppio filo al mondo legale. Nonostante quasi tutto il film sia ambientato negli Usa, ad evocare la mafia resta sempre e comunque la Sicilia rurale di inizio Novecento.

Altro filone è stato quello delle commedie di mafia, sviluppatosi negli anni ’60 con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. A inaugurarlo fu il regista Riccardo Pazzaglia, con L’onorata società. Gli stereotipi, per questo genere, hanno avuto funzione comica più che la pretesa di documentare una realtà e a sfruttarli al meglio è stato senza dubbio Roberto Benigni con Johnny Stecchino, parodia di Charlie Stecchino, mafioso che appare in A qualcuno piace caldo.

Michele Placido ne La piovra
Michele Placido ne La piovra

Di grande successo anche le serie tv, a partire da La mano sugli occhi, tratta dal romanzo di Andrea Camilleri. Caposaldo è però La piovra, con lo storico commissario Cattani, interpretato da Michele Placido. Lo sceneggiato è abbastanza “epico” nella modalità di trattazione della lotta fra bene e male, che è superiore e onnipotente ma non per questo incontrastabile. La mafia si è già trasformata nella “piovra” del titolo, organizzazione tentacolare non più circoscritta in territori limitati e poco sviluppati. Anche in America si sono prodigati nel piccolo schermo, da Gli intoccabili del 1959, relativa alle vicende di Al Capone. Fama maggiore, forse insuperabile, l’ha raggiunta I soprano, a cavallo tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000. Il boss Tony, di origine campana, ha la peculiarità di essere soggetto ad attacchi di panico dovuti ai rapporti familiari, che lo conducono in psicanalisi.

In molti hanno posto l’accento sui pericoli che certe sceneggiature possono recare, se l’idea oscura di potere attiri (soprattutto) le fasce più giovani anziché respingerle. È un dibattito tornato attuale dopo la serie Gomorra, ma sulla mafia valeva da decenni. Secondo il magistrato palermitano Antonio Ingroia “certe rappresentazioni finiscono per propagare al di là delle migliori intenzioni, il fascino sinistro dell’eroe del male e una certa idea di immutabilità ed eternità della mafia stessa, difficile da vincere in una terra incline al fatalismo come la Sicilia”.

Marketing stereotipato
Marketing stereotipato per souvenir

Nel bene e nel male, i mass media veicolano i messaggi e perciò diventa importante il livello comunicativo, affinché non si diffondano idee fuorvianti. Cristaldi ha condotto un’indagine intervistando italiani e stranieri sulle associazioni mentali: a un primo campione composto da 100 persone fra italiani, tedeschi, statunitensi, australiani, turchi, inglesi e romeni è stato chiesto un termine a cui collegare la Sicilia. Per il 64% il risultato è stato proprio “mafia”, tutte le altre risposte (Palermo, Catania, mare, Berlusconi, vacanze, Valle dei Templi, isola, Mediterraneo) hanno oscillato fra l’1 e il 6%. E questo legame l’hanno visto soprattutto i turchi (73,3%), mentre ragionando per fasce di età sono stati i giovani (18-35) a proporre questa sinonimia, al 69,7%.

A un secondo campione, formato da francesi, bulgari, spagnoli, tedeschi, statunitensi, portoghesi e italiani invece è stato chiesto di associare la parola “mafia”. Il più generico “Italia” ha visto il 37% di risposte, “Sicilia” si è fermato al 26%, ma un 2% ha detto Palermo e un’altra persona “Corleone”, che in “Sicilia” possono tranquillamente rientrare. Sommando Stato, Regione e Comuni si raggiunge il 66%. Curiosità, anche qui compare “Berlusconi”, nominato da 4 intervistati. Poi seguono “politica” (10%) “Cosa Nostra”, “paura”, “omertà”, “Al Capone”, terrorismo”, “Totò Riina”, “assassini”, “La piovra” e “Lucky Luciano”.

Come chiude Cristaldi, “bisognerebbe cambiare un po’ copione. O almeno questo si augurano i siciliani”.


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