Si dice che ci voglia un genio per riconoscerne un altro, di riflesso ci vuole un alieno per riconoscerne un altro. È il 1994 e gli Stati Uniti si preparano da neofiti quasi assoluti ad ospitare i mondiali di calcio. Gli Usa avevano addirittura ottenuto un terzo posto ai primi campionati, nel 1930 in Uruguay, ma erano spariti dalla scena per ben quarant’anni, dal 1950 a Italia ’90. Dove comunque presentano una squadra ai limiti del professionismo, rispedita a casa con tre sconfitte, tra cui l’1-5 preso dalla Cecoslovacchia. Ora, con gli occhi del mondo puntati addosso, la federazione vuole andare sul sicuro e chiama Bora Milutinovic come allenatore.
Nato 71 anni fa in Serbia, Milutinovic si costruisce carriera e fama da giramondo. Finisce in Messico e viene chiamato dalla Nazionale per i mondiali 1986, dove arriva ai quarti di finale, eliminato ai rigori dalla Germania Ovest. Nel 1990 porta il piccolo Costa Rica oltre il girone, stessa impresa che compirà con Stati Uniti nel ’94 e Nigeria nel ’98. Fallirà solo con la Cina nel 2002, ultima nel suo gruppo con zero reti segnate. Ma c’è un aneddoto che spiega il fiasco. Milutinovic, alla vigilia della coppa del mondo, entra in chiesa e prega Dio di far realizzare alla Cina gli stessi gol della Francia, trionfatrice quattro anni prima. Ma nel 2002 la Francia rimane a secco contro Senegal, Uruguay e Danimarca. Quindi, in un certo senso, Dio esaudisce la richiesta…
Ma torniamo al 1994. Milutinovic per la difesa decide di scommettere su Panayotis Alexander Lalas, detto Alexi, gigante di origine greca ma dall’aspetto 100% country. Perfetta controfigura (in magro) di Jeff Bridges nel Grande Lebowski, Alexi cresce da spirito libero, che nel calcio ha solo uno dei suoi interessi. Gli altri sono filosofia, letteratura e soprattutto musica rock. È nel dna familiare, il padre è insegnante, la madre poetessa e scrittrice. “Quando ho incontrato Bora per la prima volta ero solo un ventiduenne punk, che non aveva mai pensato al suo posto nel mondo”, racconta. Lalas non aveva neanche mai giocato da professionista, due anni prima era stato scartato dall’Arsenal, che lo trovava inadeguato al ruolo.
Paradossalmente, quando queste due persone che sembrano avere poco a che fare con il calcio hanno incrociato il loro cammino, hanno creato qualcosa. Gli Stati Uniti superano brillantemente il girone a scapito della più quotata Colombia, agli ottavi dovranno arrendersi al Brasile, futuro campione. Lo 0-1 è comunque più che onorevole e Lalas è una delle stelle. Oltre la chioma e l’atteggiamento scanzonato, c’è un difensore vero. Per 400 milioni di lire se lo accaparra il Padova, neopromosso in Serie A. Diventa il primo americano in Italia, non che ne siano seguiti molti in realtà.
Chitarra, camicia di flanella a quadri e infradito, abbigliamento lontano dallo stereotipo del giocatore alla moda, Lalas si distingue per la mentalità. Non si abbatte nemmeno dopo la prima sconfitta, 0-5 con la Sampdoria. Tanto sa che a casa lo aspettano la chitarra e la sua ragazza. Dopo sei giornate hanno subito 15 reti, ma contro il Milan cambia tutto: 2-0, con Alexi che segna la rete del vantaggio. È la scossa che porterà il Padova alla salvezza. Da buon anticonformista suona alla Domenica Sportiva – trasmissione, soprattutto all’epoca, molto tradizionalista – abituato com’era alla carriera musicale con i Ginger (nello slang i rossi di capelli, oltre che traduzione di zenzero). Fa chiamare la polizia ai vicini insospettiti dai rumori di notte, mentre lui calciava la palla contro la porta del garage, facendo una finta telecronaca di azioni immaginarie. Manda a quel paese in diretta tv Zdenek Zeman, allenatore amato e odiato dai tifosi in ugual misura, sfoggiando un italiano tutto particolare.
Il Padova non dura molto in Serie A, né Lalas in Italia. Nel 1996 torna a casa, consapevole comunque di aver lasciato un segno: “penso che nessuno avesse mai visto uno come me, per il mio aspetto, il mio modo di essere, le cose che dicevo”. Tra la pubblicazione di dischi e la carriera da calciatore e poi dirigente, riprende anche gli studi e a soli 26 anni dall’immatricolazione, si laurea alla Rutgers University del New Jersey, in Inglese e Musica come materia complementare. “Sono contento per i miei bambini”, scrive su twitter, “così capiscono che se si inizia una cosa bisogna anche portarla a termine. E che bisogna sapersi distinguersi dagli altri”.
Cosa che a questo alieno, entrato e rimasto con dignità in un mondo come quello del calcio che non sembrava appartenergli, è sempre venuta naturale.
La storia di Lalas al Padova
Lalas a gamba tesa su Zeman