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Portogallo, campione d’Europa in fatalismo (1)

Un racconto in viaggio tra luoghi, stereotipi e leggende (prima parte)

Mi vengono in mente un sacco di stereotipi di molti paesi europei, ma ho il vuoto totale su Portogallo e i portoghesi”, commenta un americano su Reddit (sito di social news). Alché una spagnola risponde come una che la sa lunga: “i portoghesi sono piuttosto tristi, pessimisti e malinconici. Questi tratti sono rappresentati nello stile musicale tipico del Portogallo, il Fado e nella parola saudade che non ha traduzione in nessun’altra lingua”. Beh, almeno in italiano può essere tradotta in “nostalgia”, ma d’altra parte si sa, un altro classico è proprio lo “scontro tra opposti”, portoghesi e spagnoli, tant’è che i primi dicono dei secondi che sono divertenti, energici e fieri, con tendenza ad alzare la voce. Mentre gli spagnoli sui portoghesi che sono riservati, indecisi e nostalgici, appunto, con tendenza al fatalismo (Fado viene dal latino fatum e significa destino).

Labruge. Il registro di una tipica "pousada do peregrino" (ostello del pellegrino) : con un'offerta libera si vince un letto. Il cammino portoghese può essere percorso all'interno o sulla costa. Viaggiando sola non ho mai avuto paura. I portoghesi ti lasciano perdere molto più che gli italiani!
Labruge. Il registro di una tipica “pousada do peregrino” (ostello del pellegrino) : con un’offerta libera si vince un letto. Il cammino portoghese può essere percorso all’interno o sulla costa. Viaggiando sola non ho mai avuto paura. I portoghesi ti lasciano perdere molto più che gli italiani!

Un Paese poco conosciuto (e dunque poco stereotipato) forse a causa dell’isolamento geografico (interamente circondato dalla Spagna e dall’oceano Atlantico che non è più il mezzo di comunicazione fondamentale di un tempo) e di conseguenza (o viceversa) a causa dell’isolamento politico (avendo subito la più lunga dittatura europea del Novecento). Nonostante questo, perfino il Portogallo ha la sua bella lista di stereotipi positivi e negativi. I negativi sono di solito sempre in maggior numero, mentre tutti possono essere un po’ veri e un po’ falsi, in ogni caso qui abbiamo solo quelli che vengono espressi dagli italiani.

Già, perché a elencarli tutti, risulterebbe fin troppo chiaro quanto ogni stereotipo (che una nazione appiccica a un’altra) può essere reciproco o “a trenino”… A partire dalle osservazioni più grossolane, come quella italiano/padana che sentenzia “i portoghesi parlano come i brasiliani” (anche se storicamente semmai è il contrario). E altri modi di dire, come “fare il portoghese”: in Italia sembrano essere loro quelli così “smemorati” da non comprare i biglietti per i trasporti pubblici (ma per i francesi i distratti sono gli inglesi, e per gli inglesi gli olandesi!); oppure quando qualcuno se ne va senza salutare, in portoghese si dice “sair à francesa” (andarsene alla francese) come dicono anche gli inglesi e gli spagnoli, ma i tedeschi dicono lo stesso dei polacchi e gli ungheresi degli inglesi!; i francesi dicono “travailler comme portugais” (lavorare come un portoghese) cioè fare un cattivo lavoro, così come i portoghesi dicono “do Paraguai” (dal Paraguay) per indicare un prodotto di cattiva qualità o di contrabbando; quando invece qualcuno sta dicendo qualcosa di incomprensibile o difficile da capire i portoghesi (come i norvegesi) “accusano” la stessa lingua: dicono che la persona sta “falando grego” (parlando greco) così come noi rimaniamo sconvolti dall’incomprensibilità dell’arabo, i polacchi del turco, gli ungheresi (e i greci) del cinese e i tedeschi dei boemi (?!); i portoghesi infine ce l’hanno di nuovo coi greci quando si parla di regali: “presente de grego” è un pessimo regalo (ma niente da meravigliarsi, se mi inizi con la storia del cavallo di Troia…); insomma, solo la puntualità è britannica quasi per tutti (italiani, spagnoli, greci… compresi i portoghesi: “britanica pontualidade”).

Viana do Castelo. Ha una leggenda carina che riguarda il nome: la principessa Ana era innamorata di un uomo comune che ricambiava il suo amore (impossibile): tutte le volte che la vedeva affacciarsi gridava "Vi a Ana do castelo!" (Ho visto Ana del castello) e così la città prese quel nome.
Viana do Castelo. Ha una leggenda carina che riguarda il nome: la principessa Ana era innamorata di un uomo comune che ricambiava il suo amore (impossibile): tutte le volte che la vedeva affacciarsi gridava “Vi a Ana do castelo!” (Ho visto Ana del castello) e così la città prese quel nome.

Ma procediamo con ordine.

Seri e taciturni, ladri, scorretti e insieme gentili e cordiali, euforici o al contrario malinconici e depressi, mangiatori di pomodori, lenti, tradizionalisti e pigri (come tutto il sud), e ancora, uomini alleati degli inglesi, donne con i baffi, tutti che odorano di baccalà e tutti che adorano il Fado, grandi esploratori con tante storie da raccontare… questi sono gli stereotipi sui portoghesi che girano su internet.

Ma in un breve viaggio di 12 giorni che mi ha portato a toccare 10 città tra Portogallo e Spagna, in treno o a piedi (il “cammino portoghese” verso Santiago) da Porto ad Aveiro, Labruge, Povoa de Varzim, Viana do Castelo, Valença, Vigo, A Coruña, Santiago de Compostela e Madrid, questo è quello che ho scoperto.

la particolarissima città fortificata di Valença che si affaccia sulla Spagna. Resistette secoli alla presa dei francesi.
la particolarissima città fortificata di Valença che si affaccia sulla Spagna. Resistette secoli alla presa dei francesi.

Il Portogallo appare come un bel paese, genuino, dove le mode vegan/gourmet (senza offesa per i veri vegani) ancora non sono giunte. La gente mangia essenzialmente carne e pesce, dal churrasco (con prezzi che non hanno nulla a che fare con i costosissimi ristoranti brasiliani a Roma) alle sardinhas alla brace servite con patate lesse, cipolla cruda e peperoni verdi. Al contrario degli italiani, infatti, non temono di “coprire” il pesce con sapori forti! Anche il polpo e patate qui ha la variante della salsa verde alla cipolla. Gente orgogliosa dei suoi pochi, semplici piatti ricorrenti come il caldo verde, che è una zuppa fatta con patate e una varietà (molto verde) di cavolo che è proprio tipica della regione nord del Paese, che nasconde rotelle di salpicão (che è praticamente il chorizo portoghese). Perfino il vino è verde: non è vero, è sempre rosso (o bianco o rosé) ma quando si definisce così (vinho verde) sta a indicare che è un vino giovane (novello diremmo noi) e caratterizzato da una naturale frizzantezza. I dolci sono tutti giallissimi, pieni di uova e zucchero (e spesso ricoperti di mandorle, noccioline, cannella). Uno dei più noti il pastel de nata, una specie di piattino di morbida pasta sfoglia ricoperto di crema, e servito rigorosamente caldo, delizioso.

La sardina, insieme al baccalà, è il pesce più “stereotipato” del Portogallo
La sardina, insieme al baccalà, è il pesce più “stereotipato” del Portogallo

Porto in particolare è bellissima. Al contrario di Lisbona, tutta bianca (città dove il Fado è effettivamente diffuso), Porto è fatta di colori caldi e scuri e non è propriamente sull’oceano, ma sulla foce del Douro. Il fiume è ampio, attraversato da ponti piuttosto antichi (XIX secolo) e sorprendenti per la media europea (è lungo circa 400 metri il Dom Luis I fatto da un ex collaboratore di Eiffel) e quasi degni delle stazze americane, se si considera che è portoghese (il Vasco da Gama di Lisbona, 17 km), l’unico ponte europeo che spicca nella top 10 dei più grandi al mondo. Porto è una città che per la sua “mistura” ricorda Genova (e qualcun’altro malignerebbe anche per la tirchieria) e, per il fatto che si inerpica in salita, anche San Francisco (oltre ai ponti e con tanto di vecchi tram in legno e funivie!). Al posto dei graffiti poi ci sono chiese e palazzi decorati con gli azulejos che ricordano tanto le ceramiche azzurre degli olandesi, in particolare quelle di Delft. Un italiano, toscano per la precisione, Niccolò Nasoni (che loro chiamano Nicolau Nazoni), da noi simil sconosciuto, è considerato nientemeno che “l’architetto di Porto”: ha progettato la maggior parte degli edifici della città, come São Pedro dos Clérigos. Somiglianze con aspetti di altre culture non sono rare in Portogallo, a partire da una lingua che, cambiando una sola lettera per ogni parola, diventa spagnolo o italiano (o galiziano)… Il “problema” della lingua portoghese infatti è solo la pronuncia, a leggerla talvolta può risultare più semplice dello spagnolo.

i giallissimi dolci portoghesi
i giallissimi dolci portoghesi

Le connessioni non sono quindi solo quelle ovvie, con il sud. Il Portogallo, soprattutto quello del nord, confinante alla nordica ma spagnola Galizia (Regno da cui il Portogallo si separò definitivamente nel Medioevo), ha molte vicinanze con il nord dell’Europa, come gli azulejos. Per esempio c’è una città a sud di Porto, Aveiro, “cidade da agua” (città d’acqua) che viene considerata la “Veneza portuguesa”, ma l’effetto finale è come se mettessi delle gondole nei canali di Amsterdam! I suoi paesaggi costieri verdi e blu, costellati di chiesette sull’oceano, e ancora meglio quelli galiziani che hanno scogliere più alte sull’Atlantico, sembrano proprio scorci d’Irlanda.

il ponte Dom Luis I dal Teleferico di Gaia
il ponte Dom Luis I dal Teleferico di Gaia

Alleati degli inglesi, a proposito. Ma perché? L’antica terra dei Lusitani, popolo di origine iberica da cui discendono i portoghesi, nel corso dei secoli, venne conquistata più volte: i primi furono i Romani, poi arrivarono i popoli germanici (e perfino iranici), infine gli arabi. A quel punto la Reconquista portò, nella valle tra i fiumi Douro e Minho (più a nord di Porto), alla formazione della “contea di Portucale, primo nucleo del futuro stato portoghese”. Una volta formatisi gli attuali confini, nel 1386 venne siglato il Trattato di Windsor, “un’alleanza tra Portogallo e Inghilterra che rimase fino ai nostri giorni”. Uno dei trattati più antichi, una vicinanza tra “isolati”.

Porto-San Francisco e i suoi taxi neri e verdi
Porto-San Francisco e i suoi taxi neri e verdi

Lenti. Ha due accezioni: una lentezza atavica che riguarda il Paese (e il suo radicamento al tradizionalismo) causata dalla dittatura di Salazar, che per oltre 40 anni, dal 1932 al 1968 “ha emarginato il paese dai progressi del resto dell’Europa”. Quindi quando pensiamo alla lentezza (e al tradizionalismo) degli italiani, e ai suoi “ventenni”, mi sa che c’è chi ha avuto di peggio! Poi c’è l’accezione più “personale”: “Patricia ha trentatré anni e quando pensa alle donne portoghesi vorrebbe vedere più libertà di espressione. «Vivono ancora secondo una mentalità ereditata dagli anni della dittatura, in cui i valori importanti rimangono la famiglia, il lavoro e una forte modestia». Ma non bisogna dimenticare che questo atteggiamento ha anche risvolti positivi: i portoghesi non sono una popolazione eccessivamente nazionalista e sono più pronti ad accettare un’identità europea rispetto ai francesi. «Non siamo molto orgogliosi della nostra cultura. Amiamo ciò che siamo, ma siamo più incuriositi da ciò che succede all’estero e non pensiamo di essere i migliori. Parliamo più lingue e, forse per ragioni storiche e geografiche, siamo aperti alle culture straniere: anche se siamo un piccolo Paese, non abbiamo mai smesso di guardare lontano»”.

E tutto questo può avere anche una spiegazione scientifica…

Clicca qui per la seconda e ultima parte del racconto sul Portogallo!

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