Secondo studi dell’Associazione Bancaria Italiana, il cash costerebbe 8 miliardi l’anno, pari allo 0,52% del Pil, fra stipendi del personale, perdite, furti, apparecchiature, trasporti, sicurezza, vigilanza, assicurazioni, immagazzinaggio. Sopra la media europea di spesa, ferma allo 0,4% del Pil. La moneta elettronica, non necessariamente legata a conti presso istituti di credito, sarebbe invece più pratica, veloce, funzionale e sicura. Ma anche questa non è esente da costi, nella fattispecie commissioni che possono essere tanto sul pagamento quanto sulla ricezione dello stesso, sul prelievo e sulla ricarica. Più si aggiungono i canoni annui.
Non c’è immunità nemmeno sulla sicurezza. I furti riguardano pure le carte, la criminalità si evolve parallelamente ai costumi in maniera darwinista e numerose bande si sono specializzate nell’arte della clonazione – ipotizzando un mondo senza contanti lo scippatore e il borseggiatore da bus diventerebbero il tramite con fuorilegge più avanzati nell’ingegno e nella tecnica. Secondo il presidente della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann, inoltre, non esistono dimostrazioni di come la guerra al contante riduca l’evasione fiscale o il terrorismo internazionale.
La Germania, infatti, sta cercando di evitare demonizzazioni della cartamoneta, sfatando due miti. Primo, la distinzione fra economie ricche e povere, che vorrebbe le seconde più arretrate anche culturalmente e diffidenti verso le novità: la trasversalità nella preferenza del contante va dunque dai tedeschi ai greci. Secondo, l’idea che le banche spingano per virtualizzare tutte le transazioni in modo da lucrare sulle commissioni. È la stessa Bundesbank a premere per soluzioni opposte, organizzando ad esempio il convegno tecnico in tema, il Bargeldsymposium. A rincarare la dose ci ha pensato il costituzionalista teutonico Hans-Jürgen Papier, per cui “il tetto alle transazioni in contanti è una limitazione di numerosi diritti costituzionali”.
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