Belle e magre, aggraziate e armoniose, romantiche e sempre alla ricerca dell’amore, gentili e disponibili, affabili e amorevoli, servizievoli e attente. L’italiano fornisce un’infinità di sinonimi per descrivere il ruolo di genere sempre uguale delle principesse delle favole: personaggi tendenzialmente irreali nei quali, però, molte bambine cercano di rispecchiarsi.
Un immaginario portato avanti soprattutto dalle principesse più mainstream, quelle del cinema che tutte conoscono. Da tempo gira su internet una vignetta che ritrae le più famose principesse Disney, descrivendole per quello che rappresentano, dietro la favola. Lontane dalla patina del sogno, le favole vengono cioè accusate di perpetrare certi stereotipi comodi alla società, su come una donna dovrebbe essere o perlomeno comportarsi.
Se le guardi tutte insieme in effetti sono un po’ inquietanti. Tutte uguali, stessa posa, stessa moina, stesso sguardo tra il dolce e l’ammiccante. Possibilmente spalle nude. Tutte donne mai viste in giro. Tutte salvate da un uomo, un principe. Tutte storie di donne in cui altre donne si mettono contro di loro.
Sono le bionde Cenerentola e Aurora, le more Biancaneve e Jasmine, la rossa Ariel e la castana Belle. Un unico modello femminile riproposto sempre uguale dal 1937 al 1992, solo con diversi colori.
Biancaneve, ormai quasi ottantenne, creata nel 1937, è stata la prima principessa Disney in assoluto. La vignetta dice “la sua giovinezza e bellezza è vista come una minaccia da un’altra donna e per questo uccisa. La sua bellezza alla fine però la salverà, attraendo un uomo che la proteggerà”.
Cenerentola, 1950, insegna che “se sarai bella abbastanza sarai in grado di fuggire condizioni di vita aberranti sposando un uomo ricco”.
Aurora, la bella addormentata nel bosco (1959), “promessa sposa alla nascita per solidificare una posizione politica, è uccisa da un’altra donna per ripicca. Il suo “fidanzato” la salva con un bacio. Un uomo, quindi il sesso, è di nuovo la sua unica salvezza”.
Ariel, la sirenetta (1989) è l’esempio per cui “va bene abbandonare la propria vita e famiglia, cambiare drasticamente il proprio corpo e lasciar perdere il talento, se devi conquistare il tuo uomo. Il prezzo sarà non poter più parlare, ma quando si è così carine non ce n’è poi bisogno”.
Belle, la bella della Bestia (1991), “è dolce, sensibile e bella. Anche lei dipende da un principe che possa salvare e salvarla”. Insegna che “non importa l’aspetto esteriore (dell’uomo)”.
Jasmine di Aladdin, 1992, “una principessa che deve essere sposata per soddisfare i requisiti della legge. La sua riluttanza a piegarsi a essa causa al suo potente padre non pochi problemi”.
Solo che la vignetta si ferma a Jasmine, appunto, ma per fortuna il mondo è andato avanti. Le principesse iniziano ad avere qualche spessore in più, per esempio un talento, una passione, un certo carattere. Già la principessa Jasmine mostrava “riluttanza” per la sua condizione. Poi sono arrivate tutte le altre.
Oggi le Principesse Disney, al di là delle favole, sono un franchise. Dopo il 1992 oltre le grandi classiche, si sono aggiunte Pocahontas (1995), Mulan (1998), Tiana de La principessa e il ranocchio (2009) Rapunzel e Merida (prima principessa di un film prodotto col marchio Pixar).
Basta poco per capire che molto è cambiato (e cambierà) e non è necessaria nessuna vignetta pseudo femminista. Se si va sul sito ufficiale Disney, dalla descrizione di Biancaneve a quella di Merida è evidente che ci passa davvero un secolo. Anzi, Biancaneve è descritta in modo ancora più raccapricciante, se possibile, rispetto a quella che intendeva essere “polemica”!
“Biancaneve ha un carattere docile ed è tanto gentile e premurosa, quanto bella. Pur essendo una principessa, la sua matrigna, la Regina, la tratta come una serva. Eppure non si lamenta mai. Biancaneve è generosa e affettuosa, pulisce e cucina per i sette nani ed è contenta di rendere felici gli altri mentre aspetta fiduciosa il suo Principe Azzurro”.
Ma da Biancaneve a oggi, la vita di molte donne per fortuna è cambiata. E così anche le principesse stanno cambiando. L’ultima Merida è una ragazzina ribelle e senza trucco, e le prime parole che la descrivono sono “decisa e impetuosa”. In attesa di Moana, la dodicesima principessa Disney, destinata a unirsi alle altre a Natale 2016. Sedici anni, polinesiana, figlia di un capo tribù, “ha da sempre percepito un forte legame che la chiama al mare, al viaggio e all’avventura. Cose che però le sono state proibite” (stranamente). “Ma Moana non rinuncia a seguire i propri istinti e trovare la sua strada e questo la condurrà in un viaggio meraviglioso attraverso l’Oceano Pacifico, ricco di miti e leggende, con cui gli abitanti hanno un legame profondo, sincero e rispettoso”. Per la cronaca Moana in Italia uscirà col titolo Oceania, per lo (stereotipatissimo) motivo che vi è venuto in mente. Ma i bambini davvero avrebbero la stessa malizia? O banalmente lo stesso ricordo? E se anche fosse? C’è chi sostiene che sia, in realtà, per “motivi di marketing e diritti d’autore”, d’altra parte anche il nome della protagonista verrà cambiato in Vaiana, privo di significato rispetto alla simbologia del film: in polinesiano moana significa, appunto, oceano. Senza riferimenti alla Pozzi, per la quale siamo peraltro contenti che venga ricordata ancora con così tanta enfasi da meritare l’esclusiva del nome.
E senza dimenticare tutte le principesse alternative che oggi, molti bambine e bambini stanno già iniziando a conoscere. Le iniziative sono tante, anche in campo editoriale e digitale: per esempio la collana argentina “antiprincesas” che racconta le storie (vere) di donne di spessore come Violeta Parra o Frida Khalo. Rapsodia Edizioni ha accolto l’idea e l’ha tradotta in italiano: “queste fiabe ci dicono che forse il mondo oggi ha bisogno di storie più vere, di vicende più crude, di sentimenti più reali, per imparare le lezioni più importanti” ha commentato la direttrice Eleonora Lo Nigro. O il progetto The stellar lady, un’idea americana di fumetto ebook sulla vita della grande astrofisica italiana Margherita Hack, nata nel 1922 a Firenze, “potete non crederci, in una via chiamata Centostelle…”
Insomma, è vero che le prime principesse erano tutte donnine sottomesse, ma era anche la realtà. È inutile prendersela coi falsi nemici, con gli effetti (o le rappresentazioni) piuttosto che le cause. Prima di tutto devono trasformarsi le donne. Le opere creative rispecchiano solo i tempi in cui vivono.