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Nouri Bouzid, il problema dell’Islam sta nella testa della gente

In questi anni si è parlato molto di Paesi come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, perdendo di vista quello che stava accadendo ai nostri più vicini, che consideriamo tali anche da un punto di vista economico e turistico, almeno fino a ora. Rapporti che all’improvviso vanno ripensati.

Il primo che viene in mente è l’Egitto che dietro Piramidi, barriere coralline e pacchetti last minute, palesava una dittatura trentennale che aveva stremato un’intera generazione di giovani nati negli anni ‘80 che non avevano conosciuto altro che quel tipo di vita (ovvero la legge marziale). La voglia di cambiamento innesca una sana rivoluzione che viene però usurpata e di nuovo sedata da militari sempre più neri. “Repressione? Mubarak era un dilettante rispetto ad Al Sisi”, commentava qualche giorno fa Lucio Caracciolo, direttore della rivista geopolitica Limes. Oggi siamo al punto che si può dire: dove non è riuscita una rivoluzione, sta riuscendo un solo individuo, perché, nonostante tutto, Giulio Regeni sta aiutando il mondo, che era ciò che voleva e stava facendo. E questo, per il mondo arabo in particolare, abituato a vivere sulle istituzioni, ha un fortissimo impatto simbolico.

Ma un altro Paese “amico” di cui non si parla molto è la Tunisia.

Nel 2011, tre giorni dopo la fine della rivoluzione dei gelsomini, il rapper Psyco M dice nella sua canzone “è un nemico dell’Islam, scaricherò il mio kalashnikov sul creatore di Making off”. Si riferiva al regista Nouri Bouzid e al suo film del 2006 che raccontava la storia di Batha, un giovane ballerino che sogna l’Europa, ma subisce invece il lavaggio del cervello, diventando terrorista. Lo stesso attore durante le riprese si ribella a Bouzid, perché ha paura di quello che penserà la gente: “il tuo film è un mostro, questo non accade da noi”. Ma non sarà poi tanto vero, visto quello che poi successe anni dopo, nel 2015, sia al museo del Bardo che sulla spiaggia di Susa

Nouri Bouzid
Nouri Bouzid

Nouri Bouzid è veramente Nemico dell’Islam? Questa è la domanda che è anche il titolo del documentario di Stefano Grossi, sul quale ha lavorato dieci anni, ma che oggi non riesce a trovare la “grande distribuzione”. Lo definisce un doc “saggistico”, intendendo “cioè creare domande più che dare risposte”: “Nouri ha idee molto interessanti e inedite sull’Isis e considerando quanto tempo fa le ha dette, e alla luce di quanto è successo poi”, anche in una Tunisia aperta e moderata, “hanno avuto per me un effetto di previsione”, commenta Grossi.

E le domande sono queste: perché permettiamo che sull’Islam parli più Salvini di Bouzid? Perché Daesh non attacca Israele che è lì a portata di mano? Perché per diventare uomini bisogna perdere le donne? Perché studenti modello all’improvviso partivano per la Siria? “Perché a un certo punto non hai più alcuna fiducia nel tuo Paese…” dice Bouzid.

“Bouzid è il più importante regista tunisino. Ha raccontato nei suoi film tutto ciò che sembra impossibile raccontare dall’interno di un paese arabo: omofobia, tortura, prigionia politica, repressione, patriarcato, integralismo religioso, antisemitismo, patologie sessuali. Non ha trascurato nulla, senza dimenticare che nel cinema (come nella vita) lo stile è la cosa più importante: e che le storie che stanno a cuore bisogna raccontarle in modo prodigioso, perché chi guarda non desideri guardarne altre”, è scritto nella descrizione del documentario.

“Dopo un’infanzia trascorsa in Tunisia, nel 1968 Nouri Bouzid emigra in Belgio dove studia cinema fino al 1972. Tornato in patria, passa cinque anni in prigione per le sue convinzioni politiche. Questa esperienza verrà rievocata nei suoi film attraverso scene violente, alcune delle quali rappresentano un carcerato selvaggiamente picchiato e umiliato. I film di Bouzid, infatti, riguardando un argomento di volta in volta diverso che viene affrontato nella sua interezza e nella maniera più cruda e realistica, simbolo della voglia di modernizzazione e di liberalizzazione che si scontra contro le ingiustizie e i pregiudizi del modo di pensare comune tradizionale”, si legge su Wikipedia.

Batha si rasa i capelli prima del suo martirio nel film Making off
Batha si rasa i capelli prima del suo martirio nel film Making off (2006)

Passano altri pochi giorni dopo quella canzone rap, e Bouzid subisce un’aggressione all’università di El Manar dove insegna cinema: lo colpiscono con una spranga metallica sulla testa mentre è voltato di spalle. La polizia a quel punto gli offrì protezione, ma lui rifiutò: “mi sembrava paradossale chiedere aiuto a chi mi ha torturato per anni in prigione”, preferendo piuttosto aggiungere nel film l’inscenamento del suo funerale – interpretando un suonatore di fisarmonica – in modo da esorcizzare la paura e sentirsi pronto a qualsiasi evenienza.

In effetti, già all’uscita del suo primo film – Bouzid nonostante tutto è operativo dagli anni ’80 con otto film – si manifestano i primi problemi: L’uomo di cenere del 1986 viene selezionato a Cannes e vince il Tanit d’oro a Cartagine. Parla della violenza sessuale subita da un giovane ragazzo che ora deve sposarsi e diventare un uomo. “Non ci preparano a questo, eppure a un certo punto devi sposarti per forza: allora ho pensato che nel mio film avrei messo un protagonista che avrebbe rivelato tutta questa incapacità da parte sua e forzatura da parte della famiglia, di chi dovrebbe sostenerlo e invece cerca di costringerlo a qualcosa che non gli appartiene”. Tutto questo, secondo Bouzid, ha avuto un peso nella società intera: “siamo un popolo di sconfitti. Come possiamo vincere se ci avete distrutti fin dall’infanzia?

Il discorso sullo stupro a parte: “nella nostra tradizione c’è uno strano ribaltamento dei ruoli, dove lo stupratore è orgoglioso e la vittima deve vergognarsi”. Ricordo una volta, quando tornai nella mia città a Sfax, incontrai mio fratello e altri amici e conoscenti in un bar che giocavano a carte. Mi unii a loro, e riconobbi uno che era stato uno stupratore quando eravamo più piccoli, anche se aveva pochi anni più di me. Ebbene a un certo punto lui mi disse, e lo ripeté più volte, senza che nessuno reagì in alcun modo: “se ti avessi stuprato da giovane non avresti avuto il coraggio di aprire bocca ora”.

Così i media cominciarono a definire Bouzid “lo specialista dello stupro” e dopo l’uscita del film uno titolò, in rosso: “Bouzid è stato sodomizzato”, “ma la sodomia che avevo subito io era solo mentale”. Il grande problema della società musulmana risiede nel fatto che “non riconosce l’individuo, esistono solo le istituzioni, Dio, il Governo e la famiglia. E proprio sulla famiglia abbiamo ricevuto la sconfitta più grande, non lasciare mai spazi al bambino che a un certo punto si ritrova a dover ‘comandare’, ma non è pronto. Per questo nei miei film è la ribellione, anche se finisce male, l’unica vera realizzazione di libertà per i miei personaggi”.

Una scena da L'uomo di cenere (1986)
Una scena da L’uomo di cenere (1986)

Ed è inutile incolpare vecchi meccanismi se la situazione rimane così da tempo: come nel dialogo con l’attore di Batha, Bouzid sostiene che i precetti del Corano andavano bene per quando erano stati scritti, non possono essere ancora presi alla lettera come riferimento per la propria vita quotidiana. Possono essere fonte di ispirazione, quello sì. Perché sono stati questi precetti restrittivi che non hanno permesso alla ricchissima cultura arabo-musulmana (dall’astronomia alla matematica, dalla botanica alla chimica…) di espandersi, permettendo ad altri Paesi di prendere il sopravvento: “Gutemberg ha sconfitto la cultura musulmana perché da noi non si voleva la riproduzione del sapere per il popolo”. E anche sul colonialismo poche recriminazioni: “da un certo punto in poi la colpa è stata della stessa Tunisia e Algeria, che non hanno avuto sufficiente spirito di indipendenza. Non siamo dei bambini, tutti siamo responsabili”.

Un altro aspetto che pesa è “l’impossibilità della laicità nel mondo arabo”, mentre i veri nemici dell’Islam sono gli integralisti: “sono loro che stanno preparando la caduta dell’Islam”. Perché, a proposito di vittimismo, “il grave rischio per la Tunisia e il mondo arabo”, secondo Bouzid, “non è quello di essere delle vittime, appunto, ma piuttosto quello di diventare una fabbrica di assassini: non si può sognare, secondo nessuna logica o credo, di uccidere altre persone”.

“La globalizzazione è un paradiso che nasconde l’inferno: in Tunisia oggi abbiamo gli stessi problemi dei paesi sviluppati, nonostante il sottosviluppo. I ragazzi dei miei corsi spesso non sono affatto interessati al cinema come mezzo per la libertà di espressione, mi chiedono piuttosto come fare soldi”. Ecco, l’idea del consumismo anche dove non c’è ancora niente da consumare.

La bella protagonista di Millefeuille (2012) che sarà costretta dalla famiglia a indossare il velo
La bella protagonista di Millefeuille (2012) che sarà costretta dalla famiglia a indossare il velo

Per fortuna ogni tanto arrivano notizie come quella di Ben Gardane. “Arrivano” per modo di dire. Pochi media si sono occupati di “un fatto importante per la consapevolezza della gente” e che può dare speranza a tutti: due mesi fa, in questa città di confine, vicino alla Libia, gli islamisti tentarono una chiamata alle armi, tramite altoparlanti, in seguito al bombardamento degli americani. “Ma gli abitanti di quella città sono rimasti lucidi, non hanno risposto”, chiamando anzi la polizia: perfino le famiglie denunciarono i propri figli. Era anche la prova che terroristi e trafficanti non sono sempre la stessa cosa: “in una città di frontiera come quella, molti lavorano nei traffici, ma tutti hanno rifiutato il terrore. È la dignità dei popoli che vivono vicino al deserto”.

Il terrorismo si batte con la popolazione, dunque, con i giovani, gli studenti, le donne, e non tramite eserciti sempre più grandi”. Ci sono altre canzoni rap che girano, come quelle di Rayes Le Bled, e parlano di giustizia. È il popolo che è forte quando non si abbassa alle logiche di abuso (e) di potere: alla fine è tutto un problema di interpretazione umana, nel Corano trovi pace se vuoi pace e trovi guerra se vuoi guerra. “Il vero problema dell’Islam sta nella testa della gente“.

[Nouri Bouzid è in questi a giorni a Roma per assistere alle (poche) proiezioni del documentario di Grossi. Il 28 aprile 2016 alle 19:30 sarà al cinema Apollo 11 in occasione dell’uscita nelle sale del primo lungometraggio di sua figlia Leyla Bouzid. Appena apro gli occhi – Canto per la libertà (Francia-Tunisia 2016, in proiezione all’Apollo fino all’11 maggio) è stato presentato a Venezia dove ha vinto il premio del Pubblico e racconta i mesi che precedettero la rivoluzione tunisina. La proiezione di Nemico dell’Islam? sarà invece riproposta al cinema Detour il 19 maggio alle 20.30. Da segnalare anche Sponde di Irene Dionisio (Italia-Francia 2015) “due storie di pietà e virtù civile su sponde opposte del Mediterraneo, attraverso il rapporto epistolare tra un postino e intellettuale di Zarzis in Tunisia, e un operatore cimiteriale in pensione a Lampedusa”.]

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