Il pavone è tra i più grandi esemplari dell’ordine dei galliformi. Importato dall’India venne apprezzato da Greci e Romani; oltre ad allevarlo lo mangiavano. La grande e colorata coda del maschio è stato oggetto di allegorie che hanno nel tempo e nello spazio caratteristiche ricorrenti. Immediate associazioni alle peculiarità estetiche di questo animale che ogni cultura ha assorbito e trasformato. Ci limiteremo ad un percorso ‘nostrano’ per non disperderci in un tema che riempirebbe le pagine di un intero libro. Ricordiamo però, che tutte le culture e le epoche hanno elementi di continuità che aiutano a riconoscere il ‘midollo universale’ delle attribuzioni simboliche che l’uomo da’ all’intorno.
Oggi, in Italia, il termine pavoneggiarsi consolida l’identificazione di questo animale con la vanità e la superbia. Il dizionario della Treccani scrive in relazione alla parola Pavone: ” In similitudini ed espressioni figurate, è simbolo di vanità e superbia soprattutto per la caratteristica di fare la ruota e per la sua andatura tipica: fare il p., mostrare grande compiacimento di sé stesso (v. pavoneggiarsi); coprirsi, farsi bello, con le penne del p., gloriarsi di meriti altrui.” Quest’ultimo punto è un chiaro riferimento alla nota favola esopica del corvo che, per apparire bello, s’adorna appunto con le penne del pavone. Proprio le favole di Esopo, VI secolo a. C., ci riportano le influenze simboliche che dall’India si inseriscono inevitabilmente nell’immaginario nostrano. Confermando quando sostenuto prima: le culture si influenzano, compenetrano e specchiano l’un l’altra.
Le tracce di questa via interpretativa sono ben descritte dall’antropologo Marco Miosi. “Già nel II secolo d.C. Artemidoro di Daldi, l’autore greco di Onirocritica uno dei pochi trattati pervenutoci sull’interpretazione dei sogni, sostenne che gli animali dall’aspetto bello e aggraziato, come pappagalli, pernici e in particolare pavoni, alludevano nei sogni a persone amanti del bello. Un diffuso detto popolare della tradizione europea, sostiene infatti che “colei che sogna un pavone avrà un bellissimo figlio”. Il passaggio da ‘amante del bello’, ‘corpo bello’ a individuo vanitoso si consolida in uno stereotipo che spesso è errato e fuorviante, seppur sempre più vero, soprattutto nella società contemporanea che incoraggia e insegna l’approccio narcisistico e di vuota forma a se stessi e alle cose.
La coda del Pavone: una ruota solare piumata di cento occhi. La ruota descritta dalla coda è oggi associata, insieme alla camminata di quest’uccello, alla superbia. C’è però un altro binario simbolico, attualmente riposto in sordina, legato alla traiettoria del Sole e alla manifestazione di tutte le cose tramite la luce. Inoltre le piume che sembrano dotate di occhi hanno prodotto fantasiose allegorie sia nella tradizione politeista che in quella Cattolica.
L’uccello piumato di cento occhi. Nella mitologia greca il Pavone è l’animale rappresentativo di Era (Giunone). Narrano i racconti greci che un giorno Era chiese ad Argo, essere mitologico dotato di cento occhi, di sorvegliare il marito Zeus, sospettando che stesse per sedurre la sacerdotessa Io. Argo dai cento occhi è simbolicamente connesso con la visione e la conoscenza. Zeus, però, con l’aiuto di Ermes, riuscì a far addormentare Argo e, dopo che ebbe chiuso tutti i suoi cento occhi, lo fece uccidere nel sonno. Grata per il sacrificio della vita, Era pose gli occhi di Argo sulle piume del suo animale rappresentativo, il pavone e l’iridescente coda ‘tutta occhi’ divenne simbolo della vigilanza che era tipica della Dea.
Secoli più tardi fu simbolo cristiano “della visione di Dio da parte dell’Anima” spiega Claudio Widmann, sempre per la sua coda ‘dai cento occhi’. Guglielmo di Diguelleville, poeta normanno e priore del convento circense di Chalis nel1355 ha realizzato- indipendentemente da Dante, sottolinea Jung – l’opera allegorica Les pélerinages de la vie humaine, de l’ame et de Jesus-Christ. L’ultima scena dell’ultimo canto del Pèleriege de l’ame racconta un momento di dialogo con l’angelo guida. Guglielmo chiede spiegazioni sulla Trinità e l’angelo risponde: “Ora, sono tre i colori principali: il verde, il rosso e l’oro. Questi tre colori si possono vedere riuniti in molti lavori di seta marezzata e nelle piume di molti uccelli, come il pavone. Il re onnipotente, che mette i tre colori in uno, non può far anche che una sostanza sia tre?.” Dopo di che l’angelo lo esorta a non fare più domande e sparisce. Guglielmo si sveglia e si trova nel suo letto.
Tra le superstizioni medievali ritroviamo quella per cui le carni del pavone non conoscessero putrefazione e lo si assunse a immagine di immortalità: veniva raffigurato accanto all’albero della vita e divenne rappresentazione del nucleo più inattaccabile e incorruttibile della psiche, spiega Widmann. Nei Sermoni di Sant’Antonio di Padova, 1195-1231, leggiamo: «C’è da osservare che il pavone perde le penne quando il primo albero perde le foglie. Successivamente gli rispuntano le piume quando gli alberi cominciano a mettere le foglie. Poi nella resurrezione finale, quando tutti gli alberi, cioè i santi, incominceranno a sbocciare e verdeggiare, allora colui che ha rifiutato le penne delle cose temporali, riceverà le piume dell’immortalità».
Nel percorso alchemico-filosofico è simbolo di totalità poiché riunisce tutti i colori nel ventaglio della sua coda. La cauda pavonis raffigura il gioco di colori che sorge dopo la nigredo della prima materia rappresentata dall’Orso. Più di rado qualche autore la colloca come fase successiva all’albedo. Lungo il XVI secolo, l’allievo di Paracelso Gerald Dorn scrive: “Questo uccello vola durante la notte senza ali. Alla prima rugiada del cielo, dopo un ininterrotto processo di cottura, ascendendo e discendendo, dapprima prende la forma di una testa di corvo, poi di una coda di pavone; le sue piume diventano bianchissime e profumate, e finalmente diviene rosso fuoco, mostrando il suo carattere focoso”. I colori si riferiscono ai tre stadi della Grande Opera, con la Rubedo, o rossezza, per ultima. Il simbolo della coda del pavone fu scelto a causa dei suoi tanti colori e dei brillanti “occhi”.