C’è un tipo di persona che si lamenta sempre, quando ha l’impressione che altri (organismi, gruppi o singoli individui) si occupino di aspetti che non lo riguardano. Allora se la prende con gli animalisti, perché pensano solo agli animali, con gli ambientalisti, perché pensano solo all’ambiente, con i volontari che si occupano di rifugiati, perché, capirai!, pensano solo a salvare terroristi.
“Con tutti i problemi che ci sono…” di solito esordiscono. Elencando una serie di “categorie” per loro più importanti: “…invece di pensare ai bambini, al lavoro, agli italiani…”
Ma nel mondo ogni aspetto è connesso agli altri, e occuparsi di ambiente, per esempio, non è mai occuparsi di qualcosa di marginale, anzi. Che l’ambiente prescinda gli altri diritti (la vita stessa!) forse comincia a essere preso sul serio solo oggi, grazie anche al Papa e alla recente enciclica Laudato Si.
La Guardia Forestale ha da poco organizzato un incontro che si intitola Traffico di specie protette… – ci risiamo. “Che ce ne importa ora di gorilla, rinoceronti e scimpanzé…?” – …e terrorismo. Ah. Già. Perché il mondo è talmente coeso, che esiste una correlazione perfino tra gli animali in via d’estinzione e l’Isis.
Negli anni ’70 il terrorismo, nero o rosso che fosse, si autoalimentava principalmente con le rapine. Altri tempi e altri luoghi. Il terrorismo ora è molto più dislocato, ma ugualmente cerca di finanziarsi sfruttando illegalmente le risorse a disposizione. Che nella maggior parte dei casi sono petrolio, antichità e opere d’arte, arsenali militari abbandonati durante qualche guerra inutile, e fin qui niente di nuovo. Ma anche specie animali e vegetali protette.
Scrive la rivista geopolitica Limes: “Il proliferare in Africa di gruppi armati, autoctoni e non, sta producendo una recrudescenza del contrabbando di piante e animali a rischio di estinzione” perché “il primo obiettivo, comune a ogni gruppo ribelle che si vuole imporre con la violenza in un determinato territorio, è quello di assicurarsi mezzi di sostegno finanziario”. E se “la vendita di opere d’arte e petrolio, sono le principali entrate degli uomini del sedicente Stato Islamico (IS), a queste fonti si aggiunge la gestione e lo sfruttamento di altre risorse naturali”.
Il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, esperto in terrorismo, sottolinea: “la capacità opportunistica di queste criminalità militarizzate è una costante. Da noi magari c’erano i sequestri politici e altri atti illegali, in altre parti lo spaccio di stupefacenti, in ogni caso si sfruttano le risorse procurando destabilizzazioni”. L’unico aspetto nuovo oggi è “la tendenza alla formazione territoriale e al contempo un rifiuto della stessa: l’Is ha una visione anarchica che affascina anche gli europei. E andrà avanti per lungo tempo. Particolare pericolosità sta nell’enorme disponibilità di risorse che ha, dal territorio al patrimonio dell’umanità”. Perché il rifiuto e la distruzione di tutto ciò che è antecedente all’Islam non impedisce il traffico di reperti archeologici! “E in questo modo si arriva a una sorta di controllo statale, ma finalizzato solo alla depredazione”.
I bracconieri, quindi, da sempre immaginati come lupi solitari e senza scrupoli alla caccia del trofeo, fanno invece parte di un sistema più complesso di quello combattuto da Ace Ventura. Mentre gli archeologi, lungi dall’essere simili alla figura di Indiana Jones, sono vittime di una vera e propria guerra silenziosa. “Sono centinaia le persone trucidate per la difesa di reperti archeologici, basti ricordare Khaled al-Asaad”, direttore del sito archeologico di Palmira per più di 40 anni, che contribuì a farla riconoscere come Patrimonio dell’Unesco. A metà luglio del 2015 fu rapito dai militanti dello Stato Islamico e torturato. Un mese dopo fu ucciso sulla piazza di fronte al Museo e il suo corpo decapitato esposto al pubblico. Aveva 83 anni.
Fronteggiare il contrabbando oggi, oltre alla salvaguardia di piante, animali, beni storici e persone, significa chiudere il rubinetto alla proliferazione di gruppi umani violenti ed estremisti.
Già dagli anni ’90 l’Interpol è impegnata nei wildlife crimes, e si ha la consapevolezza che la questione ambientale peggiora con la povertà, ma è solo nel 2011 che si conduce la prima investigazione sul legame tra avorio e terrorismo (a cui partecipò anche l’organizzazione no profit Elephant Action League). Lo stesso legame che in Kenya caratterizza il gruppo terroristico somalo Al-Shaabab, permettendogli di coprire il 40% dei costi della sua jihad (e poi il resto col carbone). Da allora il nesso tra il finanziamento tramite lo sfruttamento della natura e il reinvestimento nel terrore, fu chiaro anche per gli altri gruppi più o meno conosciuti, di matrice islamica come Al Qaeda e Isis, o cristiana come l’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) guidato dal pluri-ricercato Joseph Kony, quello del discusso docu-film Kony 2012, che ne auspicava la cattura entro il 2012, appunto.
E se nel 2000 siamo arrivati a prendere con sempre più serietà il fenomeno è anche grazie a quanto è cambiato il concetto di benessere animale oggi: “innumerevoli ricerche e scoperte nel corso degli anni hanno rivelato che gli animali non sono senza cuore”, perfino i più “cattivi”, come i coccodrilli…; inoltre, il reato di maltrattamento viene riconosciuto di per sé, e non più in riferimento a un “proprietario”; infine, da pochi anni anche gli animali vengono considerati “esseri senzienti” (cioè gli è stata finalmente riconosciuta la “capacità di sensazione”, la definizione viene dalla filosofia). Gli inglesi per esempio da sempre fanno distinzione tra monkey e ape, perché una è una scimmia e l’altra una scimmia antropomorfa.
Al di là del consueto e fastidioso antropocentrismo di cui siamo capaci, se uno vede su Youtube il video “Liberazione di Wounda” capisce cosa si vuole intendere: lei è una scimpanzé che è stata sequestrata e riabilitata a Brazzeville in Congo, dove c’è il più grande centro di accoglienza per scimpanzé fondato dall’etologa e antropologa inglese Jane Goodall. Quando fu il tempo di rimetterla in libertà, appena aperta la gabbia, la “scimmia” la abbraccia lungamente prima di dirigersi verso la foresta. Quanti altri animali sono in grado di comprendere ed esternare una tale complessità di situazioni ed emozioni?
Il JG Institute dalla metà degli anni ’70 lavora per la salvaguardia delle grandi scimmie, ma il suo esempio può in realtà essere utile per capire come bisogna approcciarsi al problema contrabbando/terrorismo. Daniela De Donno della JG Italia sottolinea che lo si può fare “solo se si tengono da conto anche le comunità, soprattutto le nuove generazioni e le donne (perché in Africa sono loro le trasmettitrici dell’educazione). Quando ci sono guerre civili e disordini, il traffico illegale aumenta, e l’unico strumento a nostra disposizione è la comunicazione: è così che, tramite la semplice affissione di cartelloni molto chiari su deforestazione e commercio illegale, le confische sono diminuite. Avevamo agito direttamente sulla coscienza delle persone: prima dei cartelloni, quando chiedevamo loro “perché le scimmie sono importanti?”, rispondevano “per il turismo e la carne” (la scimmia in Africa è spesso considerata un bushmeat, in italiano “carne di foresta”). Dopo i cartelli le persone cominciavano a dire che erano importanti per le generazioni del futuro e per l’orgoglio del Congo”. Soprattutto ora erano consapevoli delle leggi (che comunque già prevedevano l’incarcerazione per i commerci illegali).
Numeri. Il traffico illegale di animali e vegetali selvatici (e dei prodotti da essi derivati) crea “un giro d’affari di 20 miliardi di dollari l’anno, che arrivano oltre ai 200 miliardi, se si conta anche il traffico di legname e pesca illegale. In particolare: 826 milioni per gli animali vivi, 40 per la medicina tradizionale, 2 per la moda, 705 per l’alimentazione, 250 per le piante vive, 331 per i prodotti forestali”. La polvere di un corno di rinoceronte, per esempio, può fruttare fino a 400mila dollari, come rimedio della medicina tradizionale cinese.
La portata di questi crimini è dunque internazionale. Oltre ai grandi “marchi” come l’Isis, Al Qaeda, Al Shabaab, Boko Haram,– che organizza trasferte in tutta l’Africa centrale – anche Sudan, Mozambico, Uganda, Bangladesh e Kashmir soffrono di questa piaga, deleteria per l’ambiente prima e per la pacifica convivenza umana in seguito. Inoltre, la domanda di piante e animali vivi o loro derivati viene perlopiù da Medioriente, Sud Est Asia ed Europa: l’Italia per esempio risulta un grande cliente finale, soprattutto per la moda, mentre altri Paesi non direttamente coinvolti, come Laos, Vietnam e Thailandia, fungono però da utile transito (Transit Point). Il Laos per esempio è stato da poco sanzionato perché non presenta ancora una legge sull’avorio. Vengono invece definiti Exit Point tutti quei porti e aeroporti dove la merce passa sotto lo sguardo di una sicurezza ancora molto carente. Mombasa in Kenya, per esempio, il più grande porto tra il Sud Africa e l’Egitto, potrebbe essere il primo possibile Choke Point, in strategia militare, un luogo delimitato dove si è costretti a passare: “qui ci dovrebbe essere il massimo della politica anticorruttiva, invece ci sono ancora pochi controlli”. Il traffico è anzi aumentato per gli scimpanzé e i gorilla che vengono ricercati come animali di compagnia o per gli zoo del Medioriente e di altri Paesi in boom economico, come la Cina. La filiera è molto lunga, ma viene facilitata dalla corruzione: “compri un ministro e fai quello che vuoi”.
La recente operazione Cobra III (che ha unito il lavoro dell’Europol, dogane e Corpo Forestale, su 25 stati membri) a oggi è stata “la più grande operazione internazionale mai condotta dalle forze dell’ordine per stroncare il commercio illegale di specie selvatiche”. Ha portato a: 300 persone arrestate, 2 tonnellate di avorio e 119 corni di rinoceronte recuperati.
“Una volta in Campania trovammo 140 specie in un bagagliaio: un varano, un boa, un serpente a sonagli… Di ritorno dalle fiere spesso gli animali vengono stipati nei bagagliai in fin di vita” racconta un’operatrice Cites del Corpo Forestale dello Stato, la sezione che si occupa specificatamente di specie protette a partire dalla Convenzione di Washington del 1997. Il gibbone dalle mani bianche che sta al Bioparco di Roma, per esempio, “era piccolo quando fu raccolto in strada che attraversava via Paolo Sarpi nel quartiere cinese di Milano. Era completamente privo di esperienze dirette coi suoi simili”. Questa e altre storie, come il canto di due altri gibboni che si rincontrarono dopo un sequestro, sono raccontati nel calendario che ogni anno Cites mette a punto per far conoscere il proprio lavoro.
Insomma nell’epoca geologica attuale, l’Antropocene, “all’uomo e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche” del Pianeta. Sono quindi necessarie nuove idee, progetti e azioni per far sì che questo processo sia il meno impattante possibile. Tra questi, l’individuazione di popolazioni “sentinella” che scompaiono all’improvviso per la comparsa di sostanze tossiche in un determinato ambiente, che siano utili a uno screening immediato del rischio potenziale associato. Insomma c’è ancora moltissimo da fare per l’ambiente, anche in Italia – a partire da un Ministero dell’Ecologia che non c’è e che, tuttavia, non preclude la grande sinergia che già esiste tra migliaia di tecnici e il Corpo Forestale dello Stato.
Ma ancora di più può essere fatto dalla parte nostra, di semplici consumatori: “se nessuno comprasse niente…”
(aRinaldi e gSantoro)