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I media non raccontano la realtà

A proposito di come i media ingigantiscono le notizie.

Giorni fa il Corriere della Sera titolava così:

Lo scippo e poi le botte alla giovane mamma: arrestato grazie a un video l’uomo più odiato di Svezia

Ma appena letto l’articolo e visto il video, mi pare sempre la solita storia: un titolo che cattura per falsità e iperboli per un valore della notizia quasi inesistente. (Sulla faccenda sono usciti tanti articoli, con titoli anche peggiori: “Pugni e sputi a una mamma dopo lo scippo”, “Perché questo video fa tremare l’Europa”…)

Ecco quello che scrive il giornalista: “Lui si calca il berretto di lana sulla fronte e affianca l’anziana signora che risale le scale della metropolitana. Cerca di strapparle la borsa, ma accade qualcosa di imprevisto: una giovane madre con due bambini si mette in mezzo, grida, cerca di allontanare lo scippatore. Lui allora le salta addosso: una spinta, due pugni, la ragazza prende in braccio uno dei bambini e cerca di fuggire. L’uomo torna indietro e le sputa in faccia.”

E quello che ho visto io (precisando che nel video i volti sono tutti oscurati tranne uno, e non si sente audio): un uomo esce dalla metro sistemandosi il cappello come farebbe chiunque altro, all’ultimo sembra accorgersi di qualcosa e fa per mettersi dietro a una persona, forse una signora che proprio in quel momento sta aprendo la borsa per prendere il cellulare. A quel punto ha tutta l’aria di essere intenzionato a prendergliela o sfilarle qualcosa, ma non ci riesce perché un’altra signora, forse più giovane e con due bambini, che sta arrivando dalla parte opposta, lo dissuade con un braccio e probabilmente a parole. L’uomo reagisce una prima volta istintivamente, come a volerla respingere, poi la colpisce al volto, lei perde l’equilibrio e fa per cadere dalle scale, ma riesce a tenersi. La donna non fugge, piuttosto cerca di proteggere i bambini, quando lui all’improvviso fa per tornare indietro, ma per fortuna la supera soltanto, forse lanciandole uno sputo, e rientra in metro.

Meno accattivante? Probabile. Da una parte c’è quasi un thriller concitato (quasi vorrei comprare il libro, sapere come va a finire il film), dall’altra c’è una semplice cronaca che almeno prova a essere oggettiva (anche se sappiamo che è impossibile).

Il fatto è che articoli come questi hanno il potere di trasformare la quasi irrilevanza di un fatto in questioni di Stato, (perfino di continente), e l’ammonimento sociale in odio cieco e generalizzato.

Notizie che non lo erano (2015) di Luca Sofri "dedicato alle storie e ai meccanismi con cui le testate giornalistiche pubblicano notizie false, inventate, non verificate, e che raccontano una specie di realtà parallela fatta di allarmi incoscienti e pericolosi, bizzarrie ridicole o false notizie rituali..."
Notizie che non lo erano (2015) di Luca Sofri è un libro “dedicato alle storie e ai meccanismi con cui le testate giornalistiche pubblicano notizie false, inventate, non verificate, e che raccontano una specie di realtà parallela fatta di allarmi incoscienti e pericolosi, bizzarrie ridicole o false notizie rituali…”

Ed è così che un tentato scippo diventa uno scippo, che un pugno e (forse) uno sputo diventano di più e che un malvivente qualsiasi diventa il mostro.

Anzi, “il più odiato di Svezia”: forse un po’ esagerato? (e allora perché per una volta non buttarla sul positivo e definire lei “la mamma più coraggiosa”…) Prima di questo soggetto (di cui non si sa nemmeno il nome), negli anni ’90, era stato solo Jackie Arklof ad essere il più odiato per antonomasia, ma lui era anche un neo-nazista, chiamato, in alternativa, il “Charles Manson della Svezia”.

Secondo il “peraltro direttore” del Post Luca Sofri, “veniamo da epoche in cui eravamo abituati a pensare che quello che i media ci raccontavano fosse la realtà. Non è mai stato proprio vero, ma gli spazi più limitati che aveva l’informazione permettevano di illudersi che lo fosse. Il mondo si è rimpicciolito, e va smentita la leggenda autoassolutoria per cui internet sarebbe responsabile di un peggioramento dell’accuratezza dell’informazione: internet ha piuttosto distrutto il suo oligopolio e ci ha permesso di accorgerci che in tanti casi sotto il racconto del mondo che riceviamo non c’è niente. L’informazione probabilmente non è diventata meno accurata, è solo che prima non ce ne accorgevamo. Ritengo quindi che dovremo abituarci all’idea che quella buona sia un servizio carente e parziale. Dobbiamo imparare a cavarcela, muovendoci con diffidenza e sapendo che dovremo arrangiarci, se vogliamo capire cosa sia vero e cosa sia falso in un mondo in cui c’è un sacco di falso, ben stampato. Divertente”.

Anche la sociologia sta studiando il fenomeno. Recentemente Antonia Cava e Francesco Pira, sociologi della Comunicazione, hanno dato alle stampe Social Gossip – Dalla chiacchiera di cortile al web pettegolezzo (Edizioni Aracne) in cui spiegano che “il modo di fare giornalismo ha subito molte mutazioni nel corso del tempo”. Oggi ciò che domina in tv, sulla carta stampata e soprattutto nel web è il cosiddetto gossip press: “una sorta “barbaradursizzazione” della cronaca, spesso nera, come nel caso di Avetrana, nel quale il dramma nasce proprio dal pettegolezzo”. In un’intervista su Il Resto del Carlino, spiegano: “esiste un momento storico che ha fatto da spartiacque tra il prima e il dopo, il Sexgate Lewinski. Dopo questo caso i rumors sono spesso diventati la fonte delle notizie, si scrive tutto e il contrario di tutto. Negli Stati Uniti i giornalisti vengono pagati tenendo conto del numero di like che i loro articoli ottengono sui social”. E gli esempi ce li abbiamo di fronte ogni giorno. L’ultimo? “La gravidanza di Giorgia Meloni, diventata la vera notizia della tre giorni di Family Day…”

L’articolo del Corriere si conclude citando un commento, preso a caso dal web, di chi ha ha letto e visto il video: “Sono così contento di aver investito da poco i miei soldi nell’industria europea della corda che diventerò dannatamente ricco. È un europeo, probabilmente. E parla di impiccagioni, della legge di Lynch, non del Trattato di Schengen…” Il giornalista intende riferirsi dunque all’odio che sembra riversarsi su internet, come stupendosi di tanta violenza di parole…?

Ma il punto è, il giornalista (e tanti come lui) non sta forse contribuendo a questo odio? Insinuando che le azioni di uno possano ricadere sulle azioni di tutti quelli “simili” a lui? “È un profugo: è stato espulso, ma nessun Paese lo vuole” si legge nel sommario, per concludere nell’articolo “così lui è diventato un caso emblematico, di quel che agita l’Europa del 2016″.

Quando le notizie sono non notizie, sono come gusci vuoti in cui trovare la conferma dei propri pregiudizi: lontane dall’essere fatti, parole del genere portano solo a cristallizzare una situazione che si ritiene emblematica, appunto.

Associazione Carta di Roma insieme alla European Federation of Journalists e Articolo 21, con l'adesione dell'Ordine dei Giornalisti, della Federazione nazionale della stampa italiana e dell'Usigrai ha lanciato da qualche mese la campagna #nohatespeech
Associazione Carta di Roma insieme alla European Federation of Journalists e Articolo 21, con l’adesione dell’Ordine dei Giornalisti, della Federazione nazionale della stampa italiana e dell’Usigrai ha lanciato da qualche mese la campagna #nohatespeech su change.org

Ma siamo sicuri che accadimenti marginali come questo siano davvero “emblematici”, cioè “particolarmente rappresentativi o significativi” riguardo ciò che sta succedendo a livello nazionale o addirittura continentale? Le statistiche continuano a dire il contrario, anche in giorni pesanti come questi. Forse “il più odiato” è solo uno che non ha avuto vita facile e alla fine non ha saputo fare di meglio che questo.

Facile è abbracciare gli stereotipi, è più comodo, invece di sforzarsi nelle dovute distinzioni tra persone e situazioni. Il punto è: con tutta la rabbia e l’indignazione che una persona può provare nel vedere questo video e il comportamento vile di quest’uomo, è giusto cercare di mettere in mezzo intere categorie di persone, ogni volta, ingigantendo fatti e azioni, e sempre se (e solo quando) si tratta di qualcuno che non sembra “come noi”?

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