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Breve guida agli stereotipi sui migranti

Era l’8 agosto 1991 quando la nave Vlora sbarcò a Bari e fece conoscere all’Italia l’immigrazione di massa. Circa 20 mila albanesi il giorno prima avevano preso il controllo dell’imbarcazione, di ritorno da Cuba, dirigendola verso le coste pugliesi per fuggire dalla pesante crisi economica (quasi fisiologica) dovuta alla transizione dal comunismo al capitalismo e aggravata dalla corruzione. L’Italia aveva già da molto tempo invertito la tendenza da Paese di partenza a Paese di arrivo di migranti, ma le cifre erano ancora basse per far capire che si sarebbe andati verso un fenomeno strutturato: circa 320 mila stranieri all’inizio degli anni ’80, il doppio una decade dopo. Ora sono più di 5 milioni e nonostante il radicamento di molti, giunti alla seconda se non terza generazione, permangono pregiudizi e stereotipi dovuti alla scarsa conoscenza, quando non alla totale assenza di volontà di conoscere e convivere con l’altro, il “diverso”. Anzi, in tutta Europa si parla con maggiore convinzione di respingimenti.

I media non hanno svolto il loro compito, non hanno cioè “mediato”. Perché la pace non vende, la paura. Precisazione: ovviamente non tutto quello che dicono è falso, i migranti delinquono, ma non in percentuali superiori a quelle italiane, sono statistiche del dossier Idos per la Caritas. In molti casi è lo stesso status di migrante illegale ad costituire il reato e non altri crimini contro persone o proprietà. Basterebbe tenere a mente questo presupposto per avere una visione il più possibile obiettiva. E non sottolineare ossessivamente la provenienza di chi finisce nella cronaca, come se aggiungesse un’accezione negativa.

Le prime migrazioni conosciute sono state quelle interne. I “terroni” hanno invaso il nord Italia portando la delinquenza in quella che prima era una landa di puri, a sentire certe voci. Nel migliore dei casi sono finiti col mettersi magliette con la cintura di sicurezza disegnata, per non doverla indossare in macchina. Sennò clonavano carte di credito, tessere della tv a pagamento e via discorrendo, fino a ricreare comunità mafiose con i loro valori da Padrino di Mario Puzo, insegnando a tutti l’arte di arrangiarsi.

Le badanti dell'omonimo film di Marco Pollini
Le badanti dell’omonimo film di Marco Pollini

Dagli anni ’90, dopo la Vlora, sono stati gli albanesi i primi stranieri a diventare lo spauracchio del Belpaese, specializzati in rapine in ville oltre alla classica microcriminalità. Ora sono passati di moda, soppiantati inizialmente dai rumeni. Stesse modalità di delinquenza, con l’aggravante dell’ingresso nell’Unione Europea. Grazie agli accordi di Schengen potevano addirittura circolare liberamente, una vergogna! Dell’est Europa sono state bersagliate anche le donne, quando non si prostituivano provavano a raggirare ottuagenari ormai un po’ fuori di testa per farsi nominare ereditiere. A quel punto dovevano solo avvelenarli col topicida nella minestra. Qualcuno però delle badanti aveva compassione, “poverette, a lavorare coi vecchi per mantenere il marito alcolizzato e i figli rimasti in qualche Paese ex sovietico”. Anche l’empatia nasconde stereotipi.

Il Sudamerica pure è finito nel mirino, dal piccolo mariuolo che sfila portafogli sull’autobus allo spacciatore di cocaina, ma a preoccupare sono state soprattutto le baby gang, minorenni che derubano coetanei e non solo, seguendo la logica del branco. Poi il giovedì tutti a festeggiare il giorno libero in piazza, bevendo alcool, sporcando la città e tenendo il volume della musica altissimo. Cose che gli italiani non fanno, perché ci tengono al decoro! Simile la storia degli africani, con la differenza che per loro sono tutti giorni liberi, non solo il giovedì. E in più provano a rubare le nostre donne!

L'islamizzazione dell'Europa
L’islamizzazione dell’Europa

L’evoluzione storica migliore è stata degli arabi (dai maghrebini, agli egiziani a chi effettivamente viene dalla penisola arabica). Da simpatici pizzettari e mercanti furbetti – in casa dei ladri! –  dopo l’11 settembre 2001 si sono trasformati in colonizzatori dell’occidente, islamizzatori e aspiranti terroristi. Nel migliore dei casi si limitano ad opprimere le donne della famiglia, che vogliono vestirsi succinte e integrarsi in maniera promiscua con gli infedeli.

Un capitolo a parte è sugli asiatici, perché su di loro gli stereotipi non sono sempre negativi. I cinesi, noti mangiatori di animali domestici, si fanno mafia tra di loro schiavizzando i nuovi arrivati ma almeno sono discreti. Però sugli scontrini non fanno concorrenza leale, come i negozianti di Cortina. Bengalesi e filippini godono la fama di lavoratori quasi onesti, i primi anche troppo lavoratori, giusto un po’ cari. Ma tanto, se non hanno una vita privata, che devono fare? Meglio tenere gli esercizi commerciali aperti fino all’una di notte che tornare a casa a far funzionare un matrimonio combinato.

Hot dog, versione cinese
Hot dog, versione cinese

il jolly sono i rom. La loro condizione è strana, perché in molti casi non sono nemmeno migranti, magari stanno in Italia da secoli. Ma non sono considerati né italiani né migranti. Danno fastidio se stanno nei campi, danno fastidio se salgono le graduatorie delle case popolari, perché poi le tolgono ai bisognosi italiani. Loro vengono tirati in ballo dal ruspaiolo di turno quando non c’è di meglio di cui parlare – ora ad esempio è l’Isis a terrorizzare più di chi ruba rame, portafogli e bambini incustoditi. Oppure quando c’è qualche evento che scuote le coscienze, tipo l’ubriaco al volante che uccide il passante. Poi tornano in freezer, fino alla prossima.

P.S., l’articolo non ha niente a che vedere col monologo di Edward Norton/Monty Brogan della 25ª Ora, qui non c’è rabbia e frustrazione, solo sarcasmo e ironia (non verso i migranti).

 


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