Flash Story
Aragosta
Quando l’aragosta era cibo per detenuti
Domiziano, da “dominus et deus” alla damnatio memoriae
World Press Photo 2023, il mondo raccontato per immagini
PerCorti di Vita a Torino
Lucia Annunziata racconta gli “inquilini” degli ultimi 10 anni
Hybris di Rezza e Mastrella a teatro, i due lati della porta
Eminem, 50 anni del bianco che ha segnato il rap
Rachel Carson, agli albori dell’ambientalismo moderno
Il Pride di Bologna e il suo orgoglio
Sheila Ribeiro, arte che invita al “non-dominio sulle cose”
World Press Photo, il fotogiornalismo del 2021
Dario Argento al Museo del Cinema di Torino
Non mi lascio commuovere dalle fotografie – la mostra per i 100 anni di Pasolini
Anni Interessanti, l’Italia 1960-1975
Armi biologiche: da Wuhan alla guerra in Ucraina
Romics, dai Millennials alla Generazione Z
Sport e politica, l’arma del boicottaggio
Se i proverbi se la prendono (solo) con le donne
Il dispotico smartphone
biancaneve
La “dittatura” del politicamente corretto (nun se po’ più dì)
Perché ci sentiamo in obbligo di giustificare il violento?
0 like prateek katyal
Il giornalismo sui social e la gestione del conflitto
logo mundialito 1980
Uruguay 1980, the P2 Lodge, football and the Gold Cup (on TV)
“Definire è limitare”
Bambine-streghe, quando le “catene del pregiudizio” sono reali
Inferno a Roma, quando il Diavolo non ci faceva paura
Trascrittori forensi, “chiediamo giustizia alla Giustizia”
“Duel” a Palazzo Merulana, Amici miei vs Compagni di scuola
new york skyline 11 settembre torri gemelle
11 settembre 2001, i 20 anni dall’attentato
rambaldi profondo rosso
Horror movies, the fine line between trash and cult
Europei di calcio, dalla Guerra Fredda all’edizione condivisa
Trap, giovani e società

Entrino i clown

Nel film L’Ultimo re di Scozia il protagonista (di fantasia) Nicholas Garrigan, in rotta con il (reale) dittatore ugandese Idi Amin, gli dice che la cosa più spaventosa era il suo lato infantile. E Amin non andava certo per il sottile con omicidi e torture. Ma probabilmente è vero, mantenere il bambino interiore rende un personaggio sanguinario ancora più inquietante. Capricci, stravaganze, eccessi, manie irrazionali, ma anche culto della persona e autocelebrazione, il fanciullino che all’adulto darebbe al massimo un volto folkloristico, lotta contro la corruzione e la fame di potere totale, restandone travolto. Il risultato è agghiacciante, come il serial killer John Wayne Gacy, noto per i travestimenti da clown. Molti tra i dittatori, clowneschi essi stessi, benché violenti e repressivi sono legati da un filo comune, che è l’infantilismo di fondo.

Idi Amin incarna i tratti ricorrenti dei capi di Stato autoritari africani (e non solo), di facciata amici del popolo e nemici del colonizzatore bianco, di fatto l’opposto. Ego smisurato proporzionato al fisico pingue, Amin guidò l’Uganda fra il 1971 e il 1979 illudendo(si) di renderla una grande Nazione. L’ultimo re di Scozia ammirava il Paese nord-britannico e visse un rapporto contrastato con l’Inghilterra, amata ma anche odiata perché imperialista. Tra le sue trovate Amin, quando fu ricevuto dalla regina Elisabetta II, portò in dono un casco di banane, per sostenere gli inglesi affamati dalla situazione economica. Le sue mosse non sempre hanno seguito una logica, ma quelle che lo hanno più messo in ginocchio sono state l’espulsione dei numerosi asiatici, soprattutto indiani – classe media fondamentale per gli equilibri di una società non ancora pronta al grande sviluppo come quella ugandese – e l’invasione fallimentare della vicina Tanzania, che gli costò la deposizione. Le poche notizie sulla vita pre-politica di Amin hanno contribuito alla creazione del personaggio, oscuro, istrionico e dal pugno di ferro, addirittura accusato di cannibalismo (mai provato).

Idi Amin
Idi Amin

Frutto della decolonizzazione era anche Jean-Bedel Bokassa, al potere cinque anni prima di Amin nel Centrafrica. Come Amin fu creduto cannibale, come Amin ebbe un rapporto conflittuale con un Paese europeo, stavolta la Francia. Che lo finanziò a lungo, nonostante Bokassa non fosse un faro della democrazia: ma aveva prestato servizio nell’esercito dei galletti e guidava un Paese ricco di materie  prime. Il presidente transalpino Valéry Giscard d’Estaing fu spesso ospite personale di Bokassa, ricevendo anche diamanti in regalo, finché le critiche, ancora maggiori dopo il massacro degli oppositori nella capitale Bangui, costrinsero i francesi al voltafaccia nel 1979. Il Governo a quel punto organizzò un colpo di Stato per rovesciare Bokassa, ormai proclamatosi imperatore con una cerimonia degna di quel Napoleone cui in qualche modo cercava di ispirarsi. 20 milioni di dollari spesi fra vestito di 30 kg, scarpe di perla, carro in oro, trono incorporato in una gigante figura di aquila, scettro e corona tempestati di pietre preziose, banchetto pantagruelico. Ovviamente le casse statali furono prosciugate, nonostante l’idea fosse di passare alla monarchia proprio per elevarsi nel panorama africano.

Sua sobrietà imperiale Bokassa
Sua sobrietà imperiale Bokassa

Per un breve periodo Bokassa fu legato a Gheddafi, leader libico fra i dittatori più longevi del mondo, in carica dal 1969 al 2011. Sono note le sue stravaganze come le guardie del corpo rigorosamente donne vergini, accompagnatrici nelle sue visite ufficiali, o la tenda beduina allestita anche negli alberghi a 5 stelle – un po’ come i bambini che amano campeggiare nel giardino di casa sentendosi avventurosi. Ossessionato dall’aspetto fisico, con tanto di capelli tinti e trapiantati (chissà se in quest’ordine), Gheddafi si dichiarava nemico dell’Occidente per poi esserne cruciale partner commerciale (ipocrisia reciproca, va detto). Si sa anche dei figli spesso in Italia, a far finta di giocare a calcio nel Perugia o respinti dal club Billionaire di Flavio Briatore. Geniale quando affermò che la Svizzera era uno Stato senza motivo di esistere, perché diviso fra lingue e diverse nazionalità: forse è anche vero, ma la Libia si è dimostrata molto peggio dopo la morte del Colonnello, fra rivalità di fazioni tribali sfociate nel caos totale. C’è chi lo rimpiange, perché “quando c’era lui” il petrolio costava meno, come se risparmiare sulla benzina valesse le torture e gli stupri subiti dagli oppositori politici e dalle donne, dentro e fuori i funesti carceri libici.

Meno conosciuto, virando in Asia, è Saparmurat Atayevich Niyazov, presidente del Turkmenistan dal 1991 al 2006. Oltre a essere stato autoritario, è ricordato per le stranezze e il culto della personalità. Cambiò nomi di città, scuole, aeroporti, giorni della settimana, mesi dell’anno dedicandoli agli esponenti della sua famiglia e degli indipendentisti turkmeni, si fece ritrarre sulle banconote (che nemmeno Paperone), si proclamò “padre” ed “eroe” del Turkmenistan. Fortemente nazionalista e religioso, Niyazov scrisse il Ruhnama, libro di insegnamenti storici, epici e morali, che letto tre volte garantirebbe l’accesso al paradiso: nel dubbio è addirittura insegnato a scuola. Tra i divieti, il balletto e l’opera, “non parte della cultura turkmena” (o forse dal suo punto di vista noiosi!), barba e capelli lunghi, trucco televisivo, patenti di guida (salvo nuovo esame di moralità), autoradio, cani e videogiochi. E tante altre amenità che sarebbe lungo elencare.

I discutibili capelli di Kim
I discutibili capelli di Kim

L’estremo oriente può invece vantare Kim Jong-un, attualmente in carica, che di bambinesco ha anche la faccia. Ossessionato dal nucleare, il leader supremo della Corea del Nord minaccia costantemente i vicini del Sud e gli Stati Uniti, ma non è preso molto sul serio, nemmeno dopo la millantata bomba all’idrogeno – troppo blanda secondo gli scienziati occidentali – fatta esplodere pochi giorni fa. Leggenda vuole che fece sbranare dai cani lo zio traditore, vuoi o non vuoi Kim fa notizia: dall’imposizione alla popolazione del suo taglio di capelli  alla golosità di emmental, fino alle foto con il suo mito del basket americano Dennis Rodman

Aladeen, il dittatore di Sacha Baron Cohen
Aladeen, il dittatore di Sacha Baron Cohen

Un mago della comicità basata sugli stereotipi come Sacha Baron Cohen (inventore del kazako Borat, dell’anglo-giamaicano Ali G, del giornalista omosessuale di moda Brüno), nel suo film Il dittatore ha racchiuso tutte queste caratteristiche reali ma grottesche, ideali per la sua pellicola. Violento e paranoico verso il suo stesso entourage, l’Aladeen di Baron Cohen rinomina molte parole della sua lingua con il suo stesso nome (stile Niyazov), è sessista e ospita nel suo palazzo sfarzoso belle donne come Gheddafi, è fissato per il nucleare come Kim ed infantile come un po’ tutti questi combinati.


Back To Top