“Ama il prossimo tuo come te stesso; non ho mai detto una cosa simile. Io mi odio”. Scontento, abbrutito, annoiato e violento; questo è il Dio raccontato da Jaco Van Dormael, abita all’ultimo piano di un alto palazzo, rinchiuso in una stanza le cui pareti sono casellari infiniti. Ha creato Bruxells per ‘cazzeggio’; l’uomo per noia. Si diverte a stilare l’ elenco di leggi della sfiga, la 2214: “la fetta di pane cade sempre dal lato della marmellata”. Quindi per i soggettisti dio è Murphy o un iscritto al suo fan club. Incarnato dello stereotipo del disoccupato in appartamento metropolitano standard -tre vani più cucina abitabile. Oltre a questo è una assai brutta persona capace di farsi picchiare da tutti anche da un prete in missione umanitaria.
Cristo si è fermato sul comò di sua sorella Ea. Jesus ormai è andato via. La secondogenita sposta telepaticamente i bicchieri di latte a tavola (e ciò innervosisce il padre), moltiplica il pane col prosciutto ma a volte nel raddoppiamento le viene solo il pane. Ea non sa piangere – così raccoglie in provette le lacrime altrui-, non sa che come il fratello camminerà sulle acque forse perché non ha mai visto il mare. Ea è lo stereotipo della dea fanciulla, della bambina troppo sveglia, “darkettona” e coraggiosa. La cupezza dark per disegnare la cinica presa di coscienza, Anche Cristo viene foggiato su uno stereotipo amato da laici e cattolici. JC , come lo chiama la sorella, è uno spirito rivoluzionario un po’ yippie ed esaltato. Giocoso e astuto aiuta la sorella.
Età: dieci anni, “esattamente il limite di sopportazione di ogni cosa” sostiene Ea che medita fuga e vendetta. Prima di aprire il varco che la porterà sulla terra invia un sms con la data di morte ad ognuno e prende sei schede anagrafiche a caso dal casellario del padre. Arrivata sulla terra assolda un clochard come evangelista per il suo Nuovo Nuovo Testamento e si mette alla ricerca dei sei apostoli. Insieme a quelli di Cristo saranno diciotto “così la mamma, che adora il baseball, sarà contenta,” suggerisce il fratello. Inizia così l’avventura di EA un Alice divina che scende nel Paese della frustrazione, “il paradiso” di un’umanità che non riesce a viverlo.
Scenografia e fotografia collaborano per una iper-realtà sottoesposta, deformata quanto basta per restituirci sfumature grottesche. Favola nera, dove Van Dormael si lascia andare al gioco personale, privo di una struttura interna che dia raccordo logico alle parti. Non è certo un film celebrale o filosofico, ma si fa seguire e diverte. Si mantiene vago anche quando tocca corde profonde, e lo fa bene. Calibrato gestisce la presa di coscienza della date della propria morte; “il modo in cui li tengo per le palle” fa dire al dio in pantofole e vestaglia. La notizia viaggia tra tg, social network e saltella sulle sinapsi di ognuno. E’ il momento più graffiante di tutto il film, ha un respiro diverso, nudo e onesto. A mettere leggerezza il baldanzoso Kevin, durante tutto il film compie atti folli sfidando il conto alla rovescia che si è attivato sul suo cellulare.
Di stereotipi in questo film ce ne sono tanti, il regista ci gioca, alcuni li usa altri li spacca come l’ago il palloncino. Attinge dal comune sentire collettivo per far agire personaggi – come fossero burattini precostituiti – ma con un ricco spirito personale. Il femmineo è descritto come alternativa di cui c’è bisogno, ma lascia presagire derive non troppo rosee. A tale saggezza non corrisponde l’esigenza di dare un happy ending a tutti dal punto di vista sentimentale. Echeggiano gli spari ai solitari di The Lobster. Tema del nostro tempo, tra paura e desiderio?
Buona visione e ricordate: “Se l’aria non ci fosse gli uccelli cadrebbero” come insegna l’apostolo n.14
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(9 gennaio 2016)