“Sono nata il 21 in primavera, ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta.” Alda Merini, interpretata da Anna Foglietta, ripete questi versi al suo ingresso nel manicomio, paura di dimenticare se stessa? La pazza della porta accanto racconta di Alda, del suo rapporto con la malattia mentale; con i circuiti elettrici che brutali le attraversano la testa; e con l’amore erotico, fune che libera le parole.
Lo spettacolo diretto da Alessandro Gassmann, che ne ha ideato la messa in scena supportato da Chiti, è un’intenso atto unico che si segue senza fatica. Scritto dal giornalista catanese Claudio Fava e spirato agli appunti autobiografici della poetessa milanese. Il progetto ha ricevuto sostegno dal Teatro Stabile di Catania (diretto da Giuseppe Dipasquale) e dal Teatro Stabile dell’Umbria (diretto da Franco Ruggieri), il cast degli attori conferma Anna Foglietta e Liborio Natali quali punte emergenti di un teatro che, pur vivendo di stenti, offre creatività rigogliosa.
I costumi delle internate – ralizzati da Mariano Tufano- hanno tinte che gradualmente vanno dal giallo canarino al grigio sottolineando l’usura e la perdita di vita subiti negli ospedali psichiatrici. Le luci di Marco Palmieri e le videografie di Marco Schiavoni, intervengono nella narrazione portando poesia ora lieve ora enfatica. E gli attori si muovono abili nella scenografia e nei loro ruoli. Numerosa l’affluenza di pubblico che giorno dopo giorno, a Perugia Spoleto e Catania, ha applaudito entusiasta lo spettacolo. In Febbraio sarà in scena nel teatro Secci di Terni.
Dei graffi sull’anima, di Proserpina e dell’amore. “La pazza della porta accanto” ci racconta come sopravvive il fuoco sacro custodito da Alda, che con le parole dipinge sonori graffi sull’anima. Nella claustrofobia di un manicomio Alda rivuole le sue impronte, le appartengono. Quelle impronte che saltellano sulla macchina da scrivere, sono intrappolate nel registro degli ingressi. Poi, riesce ad aprire un varco; il varco del poeta. “Chi è Proserpina?” Le chiede ripetutamente la sua compagna di cella. La risposta non arriverà, Alda è impegnata a ritrovare la sua primavera; o un Plutone che possa dare senso al quel viaggio infero.
“Hai mai pensato che ci si può amare come le colombe?” scrive Alda, malata di schizofrenia e bipolarismo, a Pierre compagno di ‘prigionia’ – interpretato da Liborio Natali – che le porta ciò di cui ha bisogno. Le emozioni conturbanti dell’innamoramento, questo è necessario ad Alda, riempirsi il petto d’amore e il corpo di piacere sessuale. Tale sentimento la fa vibrare e allora le parole danno suono all’impronunciabile, generando poesia.
«Conoscevo Claudio Fava, la sua storia, la sua sensibilità, il suo impegno politico e sociale – scrive Alessandro Gassmann nelle note di regia -; conoscevo la storia del padre Giuseppe, vittima della mafia, una delle piaghe più dilanianti del nostro paese. Conoscevo Alda Merini, la drammaticità della sua esistenza; anch’io, come tanti, mi sono emozionato e commosso nel sentirla leggere i suoi appassionati versi”.
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Del resto quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita” Alda Merini
M.D. B.
23 Dicembre 2015