“Partiamo da qui: le favole sono state scritte per gli adulti, non per i bambini. Erano infatti storie molto crude, anche ironiche, ma soprattutto moralistiche, che adulti raccontavano ad altri adulti per ammonirli”.
“Basti pensare a Il Racconto dei racconti messo in scena da Matteo Garrone”. Il film che fu candidato agli Oscar si ispira infatti a una raccolta di 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni, in cui si colpivano, rappresentandoli in stile iperbolico e grottesco, i vari vizi umani, dall’ipocrisia alla cupidigia. Lo cunto de li cunti (La fiaba delle fiabe) fu redatto in lingua napoletana tra il 1634 e il 1636 da Giambattista Basile che, insieme a Charles Perrault (Francia) e i fratelli Grimm (Germania), fu tra i trascrittori di fiabe più noti della tradizione europea. Letterati, scrittori e linguisti che a un certo punto, tra il 1500 e il 1800, raccolsero fiabe tradizionali o ne crearono di nuove riprendendo creativamente gli antichi stilemi.
“Quindi un’altra precisazione: considerate spesso sinonimi, fiabe e favole, sono invece due cose completamente differenti. La favola è di regola scritta da un autore e alla fine contiene una morale con la quale si vuole insegnare un comportamento o condannare un vizio umano, appunto. La fiaba invece ha origini popolari antichissime, risale addirittura alla preistoria, e non ha una morale. Inoltre “le fiabe sono molto più oniriche”, mentre le favole sono basate su canoni realistici.
Ma entrambe sono cose universali, che esistono in tutto il mondo. Esprimono cioè “archetipi”, il “modello originale”, la forma primitiva dell’inconscio umano, presente in tutte le civiltà e culture del nostro pianeta, a prescindere dalla latitudine o dal periodo storico. Gli archetipi vengono espressi e rappresentati da immagini. Le immagini sono forme. Le forme sono gli elementi essenziali che compongono il simbolo, che assieme ad altre forme e simboli vanno a formare ciò che le società chiamano miti. Da questi derivano le fiabe. Esse dunque nascono per tramandare archetipi sociali, psicologici e onirici attraverso l’uso di simbolismi fortemente legati alla sfera emozionale. E facendo forse ancora di più: Walter Benjamin, il filosofo, diceva che la fiaba dispone di “un incantesimo liberatore” che soccorre l’umanità contro “l’angustia” del mito.
Si può dire che prima arrivarono gli uomini a raccontar fiabe e favole, magari attorno a un fuoco, poi le donne, per cui era un modo per far passare il tempo, spesso addette a lavori ripetitivi. Poi sono arrivati i Grimm che le hanno raccolte, creando le prime favole “a lieto fine”. Quindi sono arrivati i bambini.
Pare sia stato proprio il lieto fine ad allontanare gli adulti dalle favole: “lo si associa a una ‘fastidiosa’ edulcorazione disneyana, ma è solo un meccanismo educativo mirato a evitare la paura”, quella inutile o eccessiva. Segnando piuttosto un passaggio importante per lo sviluppo dei bambini (e degli adulti): quello che dalla “pedagogia della paura” fece approdare alla “pedagogia della riuscita”. Il lieto fine non nasconde la cruda realtà, scalza però l’ineluttabile, infondendo per la prima volta la speranza.
In fondo nelle fiabe c’era già un aspetto simile: “spesso lo scenario iniziale è tutt’altro che positivo, ma quello che c’è sempre è un “qualcosa” (un personaggio, un oggetto, un elemento…) che permetterà all’eroe o l’eroina di trovare la propria strada. Un risvolto di socialità, aiuto, reciprocità che poi è l’aspetto politico delle fiabe che un uomo come Antonio Gramsci aveva colto”. Probabilmente per questo quando fu rinchiuso in carcere portò con sé 24 favole dei Grimm, dedicandosi alla loro traduzione.
“Dobbiamo dunque pensare alle fiabe come uno ‘schermo proiettivo’, dove possiamo vedere azioni e reazioni, aiutandoci cioè a trovare consapevolezze e soluzioni nuove”.
Come in Cappuccetto Rosso. La favola superficialmente parla di un lupo cattivo che inganna una bambina ingenua. E quindi sembrerebbe dire che è bene non fidarsi degli sconosciuti ed è importante non disubbidire mai alla mamma. Ma la favola è più ricca di così. E lo si può capire solo se la si legge completa.
“Anzitutto, ogni personaggio di una favola non va considerato a sé stante, poiché rappresenta sempre una parte psichica, interna al protagonista”. Quindi quel lupo rappresenta in realtà molte più cose: l’incontro con ciò che non si conosce, il potenziale pericolo, ma anche l’eccitazione, il lato maschile (l’intraprendenza, l’energia, l’azione), e quindi anche la rappresentazione dell’inconscio e dell’istinto di Cappuccetto Rosso, bambina che ancora non sa come gestire tutto ciò che prova, anche se ha degli insight, delle intuizioni, a riguardo, che sembrano inizialmente “salvarla”.
Ma il fatto è che è inutile evitare l’incontro: bisogna entrare dentro le proprie emozioni, dentro il buio della mente, guardare in faccia le proprie paure, affrontare le difficoltà. Bisogna cioè entrare nella pancia del lupo. Dopodiché può solo succedere una rinascita: se ci si pensa quello che attua il cacciatore è infatti un vero e proprio parto cesareo. Ma anche se è lui a salvarla, sarà Cappuccetto Rosso alla fine ad andare a raccogliere le pietre per riempirgli la pancia di nuovo, per chiudere definitivamente quella esperienza. Nelle favole, come nelle fiabe, nulla è lasciato al caso, ogni minimo dettaglio ha il suo significato. Lo stesso “cappuccetto rosso” che la rende per la prima volta visibile e appetibile, come una ragazzina che deve iniziare a crescere, (ma non per questo deve ritrarsi). La speranza è sempre l’ultima a morire, e lei ora è cresciuta e ha capito: le ragazze non sono prede, nessuno deve impedirci di andare nel bosco, dobbiamo solo esserne consapevoli.
Andate nel bosco, andate.
Se non andate nel bosco, nulla mai accadrà,
e la vostra vita non avrà mai inizio.
(da the Wolf’s Eyelash di Clarissa Pinkola Estés, 1970)
Questo articolo nasce dal primo di nove incontri, un ciclo di laboratori esperienziali per adulti che svela il linguaggio delle fiabe, intitolato Fiabe in bianco… in rosso e in nero, e organizzato a Roma dall’associazione Altramente, e di nuovo in partenza dal 25 gennaio al 16 maggio 2016.
I virgolettati sono delle due conduttrici, Alessandra Pulvirenti, psicologa psicoterapeuta, e Teresa Lucia Trecciola, laureata in psicologia e mediatrice artistica, che hanno guidato un piccolo gruppo di persone durante il primo incontro dedicato a Cappuccetto Rosso e la prima fase della vita, quella della giovinezza.
Ogni incontro propone infatti l’analisi di una fiaba tradizionale alla luce della psicologia analitica e del profondo, accompagnata da un’attività esperienziale a livello creativo, come provare a sviluppare una favola a partire da un incipit, servendosi dei tipici “strumenti infantili”, colori, forbici, colla e riviste: la fiaba esplicita le problematicità della vita e la dimensione universale della psiche, consentendo, attraverso un lavoro di immagini e parole, di guardare in modo nuovo agli eterni conflitti che ciascuno incontra nel divenire sé stesso.
Il percorso tematico dei laboratori si articola nell’arco di 5 mesi, (due incontri al mese), dalle 19.30 alle 21.00, ciascuno dei quali rappresenta le tre fasi dell’esistenza (il bianco, il rosso e il nero).
I CICLO (il colore bianco, la primavera, la giovinezza)
25 Gennaio: Cappuccetto rosso
8 Febbraio: Barbablù
22 Febbraio: Il compare
II CICLO (rosso, l’estate, la maturità)
7 Marzo: Vassilissa la bella
21 Marzo: Cenerentola
4 Aprile: Il ragazzo che non aveva paura di nulla
III CICLO (nero, l’inverno, la vecchiaia)
18 Aprile: Biancaneve e Rosarossa
2 Maggio: La Bella e la Bestia
16 Maggio: Ucceltrovato
Gli incontri si svolgeranno presso la libreria L’Altracittà, via Pavia 106 (Policlinico).
Il costo complessivo del laboratorio è di 140 euro
La partecipazione ad un singolo ciclo è di 50€ (5€ tessera associativa + 45€ costo laboratorio)
Partecipare ad un singolo incontro costa 20€ (5€ tessera associativa + 15€ costo laboratorio)
Per iscriversi è necessario prenotarsi entro il 18 gennaio (posti limitati).
Contatti:
T 347 0654955
@: icoloridellefiabe@gmail.com