Scherzare con e sulla morte, figura rigorosamente rappresentata al femminile – forse con la sola eccezione del Settimo sigillo – che nel corso dei secoli ha assunto diversi connotati, amata, odiata, rifiutata, esorcizzata. Ma dalla preistoria in poi impossibile da ignorare, per nessuna cultura o religione nel mondo. Del resto la vita eterna, per chi crede, altro non è che un modo per sconfiggere il “tristo mietitore”, così come per qualcuno lo è la voglia di lasciare un segno che sarà ricordato dai posteri.
Se l’uomo preistorico aveva solo una concezione animalesca di pura sopravvivenza, la coscienza vera e propria della morte ha portato le varie civiltà a considerarla come un passaggio tra vita terrena e ultraterrena, con qualche differenza. Nel buddhismo ad esempio la trasformazione è molto più completa e complessa e gradino dopo gradino porta o almeno mira all’illuminazione. E se nel Medioevo permeato di cristianesimo si oscilla tra rassegnazione e attesa fiduciosa dell’eventuale premio, l’Illuminismo porterà una secolarizzazione della morte, da studiare e capire come normale fenomeno scientifico. Fino a giungere alla drammaticità Romantica del distacco, che ha portato al culto di tombe e cimiteri – oltre a una questione puramente igienica. Nemmeno questa razionalizzazione ha fatto perdere i rituali arrivati finora (questi sì, sopravvissuti), dalle onoranze funebri all’elaborazione del lutto.
Ma la negazione della morte non va vista necessariamente come una cosa negativa o una fuga dalla realtà. Sappiamo bene che la fine arriverà per tutti, non abbiamo bisogno certo del memento mori, usanza antico romana che ridimensionava l’ego dei generali vittoriosi in battaglia. Liberarsene, illudersi che la vita sia eterna, ci spinge a fare qualsiasi cosa, a iniziarla non pensando che forse non la finiremo. Perché se avessimo sempre la morte in testa, allora tutto perderebbe di senso, è una protezione fondamentale per la nostra psiche. Il Mahatma Gandhi diceva “vivi come se dovessi morire domani, impara come se dovessi vivere per sempre”. Non per contraddirlo ma è proprio vivere pensando di non morire mai che garantisce una progettualità di lungo termine, per l’individuo e di riflesso per la società. In fondo se vivessimo come fosse l’ultimo giorno, chi lavorerebbe più?
Secondo le statistiche riportate dall’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità, in Occidente ogni anno muore l’1% delle persone. Raccogline 100 a sera in un teatro e, con una semplice traslazione aritmetica, uno degli spettatori lascerà le spoglie mortali entro i dodici mesi. Fortunatamente la realtà matematica è più complessa di così, ma se si vuole rischiare c’è uno spettacolo che offre un “servizio” aggiuntivo, mai come in questo caso giusto dire di importanza vitale: alla fine della rappresentazione dirà a chi della platea toccherà la malasorte. Fino al 18 ottobre al teatro Cometa Off di Testaccio, Roma, è in scena Nuovissimo corso involontario per l’uso di evidenti debolezze, testo dell’attore Lorenzo Gioielli (Romanzo criminale la serie, La grande bellezza, Mia madre), regia di Virginia Franchi, produzione e organizzazione della compagnia Lisa, acronimo per Libere Iniziative Spettacolari Azzardate.
Una terapia contro evidenti debolezze – cosa è più debole del fisico ineluttabilmente destinato a (de)perire? – che va ben oltre gli esercizi vocali proposti dalla psicologa Carla ai suoi pazienti, accumunati dalla visione dello stesso mostro, manifestazione delle ansie, angosce, sensi di inadeguatezza. La storia accompagna in parallelo quella di Ennio, vecchio maestro di cerimonie del teatro, morto sul palco dopo 18 minuti di agonia ma ancora visibile al suo successore e alla ex assistente, oltre che chiaramente al pubblico. Proprio l’esperienza gli ha acuito il dono di captare le onde trasmesse dagli spettatori, tanto da capire, appunto, chi nel corso dell’anno confermerà le statistiche dell’Oms.
Quale il criterio? Chi sarà il “prescelto” dalla morte – nel senso di attrice che la interpreta? Chi più temerario proverà a sfidarla con lo sguardo? Oppure il più timido che farà di tutto per evitarla? Chi riderà nervosamente alle situazioni grottesche? O ancora chi ostenterà freddezza e impassibilità, come se la cosa non lo riguardasse? Qualunque sia il metodo l’atmosfera va un po’ a ricordare i gialli vecchio stile, alla Agatha Christie per intenderci. Come in Dieci piccoli indiani viene da chiedersi con ansia se si sarà la prossima vittima o si riuscirà a scamparla. E nemmeno qui si può stare tranquilli, perché come vuole la tradizione, l’assassino è in mezzo a noi, ma senza bisogno del classico black out improvviso per agire. Le basterà pronunciare il verdetto finale.
Non sarò in grado di stabilire se e quale lettore ogni cento morirà entro l’anno, meglio lasciare questo esercizio ai “professionisti” della compagnia Lisa. Almeno se non siete scaramantici o volete tranquillizzarvi sui vostri programmi del 2016…