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Inside Out, nella vita non bisogna essere felici (per forza)

Quanti stereotipi si affrontano in Inside/Out.

Anzitutto questo: “nella vita bisogna essere felici”.

Ma quando mai. Nella vita, al massimo, bisogna aspirare alla felicità, ma se poi accadono cose brutte, e ne accadono eccome, è veramente inutile, dannoso, reprimere ciò che queste ci fanno provare. Per vivere bene, così come è necessario sentirsi bene, è necessario anche che le emozioni “negative” abbiano il loro giusto spazio per aiutarci a capire cosa c’è che non va.

Felicità, o Gioia, com’è il nome della (co)protagonista della nuova fatica Disney – Pixar, è infatti solo una delle cinque “emozioni fondamentali” messe in scena dentro la testa di Riley, una bambina come tante alle porte dell’adolescenza. La grande sfida del cartone animato è quella cioè di fornire un modello psicologico semplice, di quello che verosimilmente accade dentro un cervello umano. Come uno dei tanti modelli mentali, che la psicologia nei decenni ha prodotto, che intendono illustrare quali e quante siano le emozioni universali. C’è chi sostiene che siano 5, chi 7, chi 8… ma di sicuro queste cinque ricorrono. Anche se sono rappresentate come pupazzetti.

Il cartone ce le mostra dunque come piccoli personaggi antropomorfi e colorati che vivono e lavorano nel Quartier Generale, ovvero nel centro di controllo della mente conscia di Riley, una ragazzina del Minnesota, in procinto di lasciare la sua casa, un trasloco a San Francisco con mamma e papà. Una storia semplice, una ragazza con i “semplici” primi problemi di nostalgia e ansia, amori e amicizie, una ragazza alle prese con le iniziali destabilizzazioni di personalità. Perché non sono più felice?

Perché le emozioni sono appunto (almeno) cinque. Gioia (Joy), Tristezza (Sadness), Paura (Fear), Rabbia (Anger) e Disgusto (Disgust). A chi si chiedesse “quali sono secondo te le emozioni fondamentali?” credo che le prime quattro si troverebbero facilmente. Ma disgusto? Chi ci ha mai pensato. Avete notato poi che solo una delle cinque è “positiva”? Perlomeno per come la pensiamo generalmente. Allora per quale motivo dovremmo seguire solo la felicità se siamo composti anche da tutto il resto? Soprattutto, da tutto il resto.

È proprio la nostra naturale aspirazione alla felicità che ce la rende preferibile, identificandola come la più importante. E anche l’unica che non ci fa stare male. Certamente la gioia è un motore trainante, essenziale, vitale, che spinge a creare le nostre “Isole della Personalità”. Riley quando era piccola ne aveva 5 anch’esse: l’isola della famiglia, quella dell’amicizia, l’isola dell’onestà, l’isola dell’hockey, la sua passione, e infine “Stupidera”, l’isola del ridere, degli scherzi, del gioco, del cercare di prendere le cose della vita con la giusta “leggerezza”… Ma queste isole rimarrebbero per sempre se Riley non conoscesse tutto il resto, imparando a capirlo. Quelle isole non crollerebbero (anche solo momentaneamente) nel nulla che siamo incapaci di ricordare, quello che non ci fa provare più niente: Riley non avrebbe alcuna evoluzione della personalità senza la tristezza, la paura, la rabbia e il disgusto.

Come in una tavolozza di colori con centinaia di sfumature, solo in Inside out, film che ha come centro il conflitto Gioia/Tristezza, si affrontano 15 emozioni. Dalla gioia, combinata con sé stessa e le altre quattro, se ne creano cinque: l’estasi, la malinconia, l’intrigo, la sorpresa e l’onestà; dalla tristezza se ne suscitano quattro: la disperazione, il disprezzo di sé, l’ansia e il tradimento; dal disgusto ne arrivano altre tre: il pregiudizio, la repulsione e il disprezzo; dalla paura si può culminare in due: terrore e odio; dalla rabbia si può esplodere solo in una: il furore. Tutti questi e altri combo possibili, messi insieme, nell’arco di una possibile vita, formano la personalità di ogni essere umano.
Come in una tavolozza di colori con centinaia di sfumature, solo in Inside out, film che ha come centro il conflitto Gioia/Tristezza, si affrontano 15 emozioni. Dalla gioia, combinata con sé stessa e le altre quattro, se ne creano cinque: l’estasi, la malinconia, l’intrigo, la sorpresa e l’onestà; dalla tristezza se ne suscitano quattro: la disperazione, il disprezzo di sé, l’ansia e il tradimento; dal disgusto ne arrivano altre tre: il pregiudizio, la repulsione e il disprezzo; dalla paura si può culminare in due: terrore e odio; dalla rabbia si può esplodere solo in una: il furore.
Tutti questi e altri combo possibili, messi insieme, nell’arco di una possibile vita, formano la personalità di ogni essere umano.

Il passo in più che fa Inside Out, rispetto a qualsiasi banale “lista di emozioni”, è dare anche l’idea della complessità delle stesse, delle “sfumature” che le caratterizzano, dei modi in cui esse possono mischiarsi, dando vita a emozioni nuove.

E non dimenticando mai che l’emozione è una “cosa universale”, condivisa anche dagli (altri) animali.

Dopo il bravo regista Pete Docter, già autore di Monster&Co., nei titoli di coda del film appaiono due “consulenti scientifici”: Dacher Keltner e Paul Ekman, professori di psicologia dell’università della California, il secondo riconosciuto come uno degli psicologi più importanti del Ventesimo secolo. In un articolo uscito sul New York Times, i due garantiscono “l’accuratezza” con cui è stata rappresentata la psiche umana.

Alcuni hanno malignato che la Disney Pixar non si è sporcata le mani, (volevano problemi psicologici seri?), altri sono rimasti delusi dal fatto che non si ride al livello di Monster&Co. (cartone che ha avuto il merito di sondare un’altra emozione fondamentale, la paura). Non credo che l’intenzione fosse quella di puntare alla storia madre, quella che colpisce al cuore, piuttosto creare un cartone semplice che fosse una spiegazione semplice di quell’enorme casino che succede ogni giorno nella nostra testa. Un obiettivo ancora più difficile.

Soprattutto, mettere per la prima volta in luce le emozioni “negative”. Quelle che la società tendenzialmente insegna a reprimere, nascondere, rendere vergognose. A maggior ragione in un Paese come gli Stati Uniti, dove la felicità È l’unica emozione che gli americani sembrano tollerare. Il resto è assolutamente da cancellare se si vuole andare avanti, se si vuole avere successo. La carrellata di libri di “auto-aiuto” che si è raddoppiata nei titoli, dal 1970 a oggi, viene proprio da lì, come “un indicatore del moderno obiettivo americano, massimizzare la felicità personale attraverso un processo di auto-scoperta”. Tanto che recentemente nuovi approcci decidono di andare in altra direzione: “mostrare la grande varietà di punti di forza psicologici che vengono ignorati perché fanno sentire a disagio o, in superficie, sono socialmente indesiderabili. In certe situazioni però, quello che sembra essere buono può essere inutile e ciò che sembra invece cattivo è utile”.

L'ipotonica Tristezza trascinata dalla esuberante Gioia
L’ipotonica Tristezza trascinata dalla esuberante Gioia

Quello che vuole dire Inside Out a tutti, e soprattutto ai bambini, va in questa nuova direzione che da poco si sta affacciando sulla società americana e mondiale: le emozioni esistono tutte ed è importante non far finta di nulla.

L’operazione è davvero meritevole. Basti pensare a un semplice meccanismo post visione del film. Ora quando provo delle emozioni in testa mi figuro dei pupazzetti. Inevitabile. Quando sono felice, penso a Gioia tutta gialla e mi dà carica, ma non la seguo più con tutta quella incondizionata ammirazione che avevo prima; finalmente riconosco la verde e snob Disgusto, (che effettivamente può presentarsi tante volte al giorno!); se mi sento arrabbiata, immagino lo scorbutico e rosso Rabbia che fa le fiamme dalla testa; quando ho paura mi viene in mente il buffo Paura, tutto viola e parecchio ipocondriaco.

Ma soprattutto, quando sono triste, mi viene in mente Tristezza, blu, cicciotta, con gli occhialoni, i capelli lisci spiaccicati sul viso e un vocione profondo, svogliatissimo. Lei è l’antagonista di Gioia, fin dall’inizio del film respinta, bistrattata, sminuita nel suo ruolo. Ma Tristezza è dolce, dolcissima, non sa assolutamente come imporsi, le viene di fare delle cose spontaneamente, ma viene sempre bloccata. Finché la Tristezza, non deve sgorgare per forza a un certo punto, a meno che non si voglia far finta di essere qualcuno che non si è, o peggio, arrivare a fare scelte difficili da riparare. Ogni ricordo non è né tutto giallo, né viola, né rosso, né blu, né verde. Può essere, anzi molto più spesso è così, un misto di più emozioni. Tutte concorrono in egual misura allo stesso obiettivo: il nostro benessere. Ignorarle non è il modo migliore di essere felici.

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