Se le donne governassero il mondo non ci sarebbero guerre e ci sarebbe più giustizia sociale, si riteneva e un po’ a torto lo si ritiene ancora. Nel senso che, almeno in Occidente, le dimostrazioni purtroppo non sono andate nella direzione sperata. Magari era più legittimo crederlo quando l’accesso del “gentil” sesso alla politica era vietato o quantomeno ostacolato. C’era il beneficio del dubbio.
Senza richiamare teorie gender – che pare nemmeno esistano – la manifestazione dei comportamenti non risente, di fatto, del genere. Quindi ci saranno uomini e donne sensibili, uomini e donne più rigidi, uomini e donne violenti sotto varie forme. Per essere più diretti, se fossero tutte come la pakistana Benazir Bhutto o la birmana e premio Nobel Aung San Su Kyi l’affermazione di inizio articolo avrebbe senso, ma immaginarsi un governo Santanchè o una Giorgia Meloni con un ruolo istituzionale fa rabbrividire. Così come l’uruguayano Josè Mujica non era uguale a Vladimir Putin. Se togliamo regine assolute e zarine, non ci sono mai state dittatori donna. Per il resto il genere che differenza fa?
Primo grande esempio storico è Margaret Thatcher: finora unico primo ministro donna in Gran Bretagna, residente al 10 di Downing Street dal 1975 al 1990, fu portatrice di un’idea di conservatorismo e neoliberismo sfrenato. La Iron Lady è associata su tutto alla poll tax, imposta calcolata in base alla popolazione di un’area e non del reddito del singolo, ovviamente mal vista dalle classi meno abbienti e non solo, finché le proteste massicce portarono alle sue dimissioni. Una versione femminile – oltre che coeva – di Ronald Reagan. Non è un complimento, a parte i più feroci anticomunisti chi lo vede come un grande uomo di Stato?
Poi c’è Condoleezza Rice, donna, afroamericana. Poteva rappresentare un importante punto di rottura negli Stati Uniti, con queste premesse. Da Segretario di Stato di George W. Bush è stata ferma sostenitrice, come del resto tutta l’amministrazione, delle disastrose guerre in Afghanistan e Iraq, pantano da cui a distanza di oltre 10 anni ancora non si è usciti. E che anzi, ha generato, a posteriori certo, un mostro come l’Isis. Sebbene non si sia pentita dell’invasione che ha deposto Saddam Hussein, aprendo di fatto un vaso di Pandora, nel 2010 almeno ha ammesso che le scarse conoscenze della geografia irachena hanno condotto ad errori. Ma semplicemente, tornando indietro, avrebbe condotto l’azione prima nelle province che a Baghdad.
Angela Merkel rappresenta più lo stereotipo dell’intransigenza tedesca che non qualche “malvagità”, chiedere alla Grecia. Sì, non avrà mostrato troppa empatia verso una popolazione tradita dai suoi stessi governi precedenti (di uomini!), ma in fondo ha solo preteso il rispetto delle regole, difficile contestarle questo. Diverso il voltafaccia (più da mesteriante politico che da donna) in poche ore sui richiedenti asilo siriani, dall’illuminato e incondizionato “accogliamoli” alla sospensione di Schengen per evitare il transito di migranti.
E a proposito di migrazioni, come non citare la “solidale” Marine Le Pen. Le sue idee nazionaliste sono di chiusura totale, di riduzione della durata dei permessi di soggiorno, discriminazione degli stranieri in ambito lavorativo e sanitario. Non solo, nel suo programma vorrebbe aumentare la natalità anche contrastando l’aborto e agevolando con un salario garantito le madri che lasciano il lavoro per dedicarsi ai figli. La destra moderata è in calo e il suo Front National in ascesa, proprio come in Italia accade alla Lega, ma per fortuna le probabilità di vederla all’Eliseo (così come Salvini a Palazzo Chigi) sono basse.
Quindi ci sono gli intrighi della presidente argentina Cristina Kirchner, degni del Frank Underwood di House of Cards. È di fine 2014 la notizia della misteriosa morte del procuratore Alberto Nisman, che indagava sui legami della Kirchner con l’Iran per accordi segreti speciali che insabbiassero un attentato del 1994 contro il centro ebraico di Buenos Aires. Ovviamente in cambio di vantaggi commerciali con un Paese sotto embargo.
Negli Stati Uniti la filosofia della competizione porta a dire “anything you can do, i can do it better”, quello che fai, posso farlo meglio. Speriamo non diventi la regola per donne che in politica prendono gli uomini a riferimento, quando possono guardare alle Bhutto e alle San Su Kyi. Capito Hillary Rodham?