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Il mare, la letteratura (e internet)

Bjorn Larsson, scrittore svedese, non si capacita. Perché qualsiasi giornalista, da quando pubblicò il suo primo romanzo La vera storia del pirata Long John Silver, gli fa sempre la stessa domanda: “come e in che misura il mare ha ispirato la sua scrittura?”

Questa ostinata curiosità, che all’inizio lo infastidiva, come tutte quelle domande a cui è difficile rispondere, l’ha infine spinto a soffermarsi sulla questione, in Raccontare il mare (2015). Perché a tutta prima magari uno non ci pensa… ma se solo ci si ferma un attimo, come ha fatto lui, il dubbio sorge spontaneo: ma per quale caspita di motivo il mare dovrebbe ispirare letteratura? E di quale mare si parla? E di quale letteratura? Ma poi chi scrive di altro perché non riceve domande simili? Come e in che misura i pascoli ispirano la sua scrittura?

Cos’ha il mare che sembra per noi così potente, in grado di ispirare interi libri? Secondo Larsson è una convinzione bislacca, perché “se fosse vero che il mare rappresenta per la letteratura una fonte di ispirazione privilegiata, dovrebbe essere facile trovarne parecchi che utilizzano e mettono a frutto questo filone d’oro della creatività”. Ma non è così. Durante la sua ricerca, di scrittori che raccontano realmente il mare ne ha trovati pochissimi e sono i soliti noti: Conrad, Stevenson, London e Melville.

L’Italia per esempio, bagnata per ¾ dal mare, dovrebbe avere una letteratura vastissima. Invece, e questo lo scrive Goffredo Fofi, c’è “divario tra una fortissima presenza del mare nella storia della penisola, e la sua scarsissima presenza invece in quella letteraria”, concludendo che “il mare non produce immaginario”.

Polifemo vuole lanciare la roccia sulla nave di Ulisse. Una vignetta di Toni Vedù che la dice lunga
Polifemo vuole lanciare la roccia sulla nave di Ulisse. Una vignetta di Toni Vedù che la dice lunga…

La faccenda sembra anche peggiorare nel tempo, togliendo al mare sempre più seduzione. Le ragioni sembrano due: per viaggiare ricorriamo sempre meno al mare e le navi sono sempre più lontane dalla vita urbana (curiosità: “l’ultimo transatlantico di linea che assicurava la tratta Europa – Stati Uniti risale all’inizio degli anni Settanta”). Così il mare ha perso i suoi sogni di libertà, diventando al massimo un lavoro come un altro o uno spazio libero per le crociere, che stanno registrando un boom, ma sulle quali comunque nessuno scrive. “Perché non si dovrebbe scrivere un romanzo che racconti questa vita?”, si chiede Larsson, “magari mettendo in scena un capitano tristemente romanzesco come Schettino?”

Ma la letteratura non è pratica, è appunto immaginario. La mancanza di esperienza personale sul campo non può dunque essere una vera ragione di mancanza di interesse per il mare. Non regge. Stevenson per esempio, navigò pochissimo, “e non certo come pirata”.

Insomma “il mare e, soprattutto, i lavoratori del mare, non sono, come si tenderebbe a credere in modo stereotipato, un soggetto ricorrente della narrativa. Il mare in sé non significa nulla”, ma ha delle sue regole, diverse dalla terra: “in mare l’incertezza, la precarietà, l’effimero diventano certezze incrollabili con cui bisogna imparare a vivere”.

“Il vantaggio di essere marinaio in effetti è che la gente dà per scontato che ripartirai. Il marinaio che mette radici perde presto il suo potere di sedurre e far sognare”.

Anche il “padre” di tutta la letteratura marinaresca, il primo marinaio a cui tutti si ispirarono sul serio, è, appunto, fin troppo stereotipato. Rileggendo l’Odissea Larsson rimane deluso. Non dalla grandezza dell’opera, ma proprio dal ruolo affidato a Ulisse stesso nel tempo: “Ulisse non merita la sua reputazione di marinaio. Lungi da lui il desiderio di vagare per il mondo senza meta precisa sulla cresta delle onde, è in primo luogo un soldato che vuole una sola cosa: tornare a casa”.

È quindi su uno stereotipo idealizzato che si regge tutta l’importanza metaforica che diamo al mare?

Gli unici fatti che possono darci una risposta sono questi. Per millenni l’uomo ha avuto paura del mare, finché non vi ha visto una potenziale via di comunicazione. Uno spazio che poteva attraversare per andare a vedere cosa ci fosse oltre. Un modo per soddisfare la propria curiosità o magari la propria noia. Il mare per l’uomo è dunque un sinonimo di conoscenza.

I browser, i navigatori del web, le caravelle 2.0. Molti richiamano la terra, l'acqua e le bussole per orientarsi
I browser, i navigatori del web, le caravelle 2.0. Molti richiamano la terra, l’acqua e le bussole per orientarsi

Ma oggi siamo attratti di più da un altro tipo di mare, secondo me. Il mare che ci incuriosisce oggi è internet, lo diciamo sempre, la metafora è entrata anche nel nostro vocabolario: è su internet che navighiamo ogni giorno. Come il mare anche la rete mette in comunicazione, ma è incerta e non ti fa mai approdare realmente da qualche parte. Come i marinai non smettiamo mai di muoverci, ma al contrario di essi non ci fermiamo mai in nessun punto, cosa necessaria se davvero si vuole conoscere l’altro. E non conosciamo nemmeno tempeste, il vero pericolo. La rete è un mare enorme ma calmo che manda alla deriva, a meno che non tu non sia in grado di tornare a terra ogni tanto.

Un po’ come in letteratura: “quanti sono gli autori che nelle loro pagine viaggiano davvero, cioè sono capaci di raccontare l’altro, lo straniero?” si chiede Larsson. “Si tende sempre a raccontare i propri affini. Ma una letteratura che smette di partire e rimane al caldo e al sicuro di casa non è vera letteratura. Perché essa offre solo insicurezza, ma un’insicurezza salutare. Non c’è grande letteratura in difesa della pena di morte, né della tirannia, né tanto meno delle forze dell’ordine. La letteratura, semplicemente, non riconosce l’autorità di nessun capitano, sarà sempre dalla parte dell’equipaggio. Come essere umani, come restare umani, come non diventare disumani, sono queste le vere questioni della letteratura”. Che sia di mare o di terra. O di rete.

2 thoughts on “Il mare, la letteratura (e internet)

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