Nelle guerre di religione c’è il coinvolgimento di un attore (suo malgrado) ancora più disprezzato del rivale di turno: l’ateo. Perché l’antagonista di un fondamentalista religioso avrà almeno una credenza, dei valori, una morale. Poche settimane fa l’Iheu – International Humanist and Ethical Union – ha lanciato l’allarme sulle campagne dell’Egitto contro l’ateismo, denunciandone la “minaccia alla libertà di pensiero e di espressione”.
Siamo costantemente aggiornati contro le persecuzioni dei cristiani, l’intolleranza e il pregiudizio sui musulmani in Occidente, meno si parla del fatto che in molti Paesi il rifiuto di adorare la divinità è severamente punito. Arabia Saudita, Mauritania, Sudan, Afghanistan, Iran e le l’apparente paradiso delle Maldive prevedono la pena capitale, con il triste primato di condanne a morte che però spetta al Pakistan, nonostante i tentativi fatti per traghettare la Nazione verso la tolleranza – vedi gli omicidi dei Bhutto. Altri come Kuwait, Indonesia, Bangladesh e Giordania proibiscono la diffusione di testi che potrebbero deviare il bravo musulmano verso una vita senza da senza dio.
Il problema è più sentito nell’islam, questo è innegabile, o meglio in certi regimi dittatoriali che distorcono l’interpretazione delle scritture coraniche per mantenere il controllo e il potere sulla popolazione. Emerge anche da dialoghi con la gente. Nell’ambito di un programma che promuoveva la conoscenza delle comunità presenti a Roma ho partecipato ad una cena a casa di bengalesi. Chiacchierando uno dei conviviali (italiani) chiese se esistesse l’ateismo in Bangladesh, il padrone di casa risponde candidamente: “sì, ci sono cristiani, induisti…”. Chiarito l’equivoco rettifica la risposta in un “no” che prendeva le distanze, come se si parlasse di chissà quale crimine. Non era nemmeno una famiglia di integralisti. E di esempi ce ne sarebbero tanti altri.
Questo non vuol dire che anche il cristianesimo sia scevro da preconcetti. Sì, non abbiamo condanne a morte, ma stereotipi e pregiudizi sono difficili da sradicare fino in fondo, nonostante la secolarizzazione. Nel 1987 George Bush (padre), presunto paladino del mondo libero contro comunisti prima e Saddam Hussein dopo, disse che “gli atei non dovrebbero essere considerati cittadini, né tantomeno patrioti. Questa è una nazione timorata di Dio”. 1987, non Medio Evo. Sette stati americani hanno il divieto formale per i non credenti di diventare pubblici ufficiali, sono Arkansas, dove non si può nemmeno testimoniare in tribunale perché non avrebbe senso giurare sulla Bibbia, Maryland, Mississippi, South Carolina, Texas, Pennsylvania e Tennessee. E anche se di fatto queste leggi non sono applicate, il pregiudizio è sempre latente. In fondo parliamo di quella Nazione che vuole affiancare se non sostituire la teoria creazionista al darwinismo nei libri di scuola.
Un esperimento del 2011 di Gervais, Shariff e Norenzayan della British Columbia University ha messo un gruppo di studenti universitari di fronte alla scelta di affidare due lavori a un ateo e a un credente con pari qualifiche, si trattava dei posti di educatore di asilo nido e di cameriere. Risultato, il credente è stato di gran lunga preferito per il ruolo di educatore, mentre il secondo, senza fede, non ispirava fiducia. Un anno dopo Rice e Richardson evidenziarono come negli atei fossero messe in discussione non solo le doti morali, se non c’è la ricompensa ultraterrena perché affannarsi a fare del bene? In più le ripercussioni sarebbero anche sulla carriera, anche se è solo il calvinismo a professare – in estrema sintesi – la coincidenza tra salvezza dell’anima e avanzamento di carriera, quasi un manifesto del capitalismo.
Insomma l’amoralità atea rischierebbe di minare le basi della società ancora di più delle minoranze religiose, pur detestate più o meno in tutto il mondo. Non è un caso che i preconcetti siano ridotti al minimo nei paesi scandinavi, dove l’ateismo è più diffuso, la conoscenza è sempre il migliore antidoto. Ovviamente il non avere un’etica religiosa non vuol dire non averne, l’umanesimo avrà pur lasciato qualcosa. Anche l’Italia sta nettamente migliorando la percezione, si è capito che la convivenza civile non è a rischio, già che i dati Istat svelano il passaggio dal 16 a oltre il 20% dei non frequentatori di luoghi di culto dal 2001 al 2011.
E c’è da pensare che con le aperture di papa Francesco a tabù (per la Chiesa) come omosessualità e divorzio, presto anche gli atei avranno il loro angolo di paradiso.

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Categories: Religions
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