Se si cerca nell’Olimpo dei migliori giocatori di basket di sempre non apparirà il suo nome, probabilmente nemmeno tra gli europei. Troppo poco costante, nelle prestazioni e nella condizione fisica, soprattutto nel controllo del peso. Né il nome dirà niente a chi questo sport non lo conosce abbastanza, come può essere per i Michael Jordan o Magic Johnson. Ma chi ha visto all’azione Sofoklis Schortsianitis non può non ricordarlo, se poi era in giornata di grazia non può non essersene invaghito sportivamente.
Nato a Tiko, in Camerun, 30 anni fa da padre greco, “Big Sofo” colpisce per la sua enorme stazza. Non solo i 208 centimetri, anche i quasi 160 kg di peso, sebbene nel corso degli anni lo si è visto dimagrire a fasi alterne. Lo guardi e non pensi che uno così possa fare il cestista, come può correre, come può saltare? Nel basket quelli non “fisicati” sono comunque snelli, magari troppo come Gregor Fucka che nel 1999 fece la fortuna dell’Italia insieme all’altro naturalizzato Carlton Myers (quello del Tartufone Motta). Eppure questo centro, certo non poteva essere un’ala, darwinianamente inadatto alla sopravvivenza sul parquet, di soddisfazioni personali e di squadra se ne è prese, eccome.
Un anno fa di questo periodo diventava campione d’Europa con il Maccabi Tel Aviv, ma la partita da leggenda è sicuramente un’altra, più indietro nel tempo. Saitama, 1 settembre 2006, mondiali di basket in Giappone. Siamo al penultimo atto, la semifinale tra la squadra più forte per antonomasia, gli Stati Uniti, e la piccola Grecia, sì una formazione forte, è campione d’Europa in carica, ma i pronostici alla vigilia sono tutti per Golia contro Davide. Perchè è raro che le cose vadano come nel racconto biblico.
E infatti la partita sembra indirizzata dall’inizio, la Grecia regge ma gli Stati Uniti sono sempre avanti, toccando il +9 a 7’ dall’intervallo lungo. Ma quando si comincia a rotare il tecnico degli ellenici Yannakis trova il jolly. Chissà cosa avranno pensato le stelle del Nba vedendo quel greco/camerunese sproporzionato, di quelli che nei telefilm magari fanno la mascotte. Ma è proprio “Big Sofo” a guidare il riscatto dei suoi. 8 punti in fila sui 9 del mini-parziale 9-0, alla fine sarà terzo marcatore greco con 14 punti in appena 17 minuti, niente male per una riserva. Di lì un sali-scendi di emozioni fino al 101-95 finale, con i vari Carmelo Anthony, Dwyane Wade e LeBron James a intestardirsi nel cercare solo giocate personali e Big Sofo e compagni a respingerli, con la forza dei singoli esaltata dal gruppo. La finale sarà persa, a questo punto a sorpresa, contro la Spagna. Forse è stato dato tutto contro gli USA, forse gli iberici sono stati sottovalutati, non conta. La pagina storica, per certi versi anche più gustosa della medaglia d’oro, è scritta. E “Big Sofo” l’Olimpo personale, non a caso con la Grecia, lo raggiunge. Scalandolo come fosse un agile stambecco.
Di lì aneddoti e storie su Schortsianitis si susseguono. Solo all’apparenza incredibili. Scelto dai Los Angeles Clippers nel 2003 appena diciottenne, non convincerà nel prestagione per il fisico e la sua tenuta fisica nel corso di una partita, ma si guadagnerà il soprannome di “Baby Shaq”, per la vaga somiglianza con O’Neal. Ripiegherà su Cantù, dove non lascerà il segno se non per le bizzarrie. Racconta il direttore sportivo di allora, Bruno Arrigoni, che Sofo arrivò a ordinare 12 pizze, più 4 da portare via, mentre un’altra volta si addormentò con le patatine sul fuoco, obbligando all’intervento i vigili del fuoco, che non riuscivano a portarlo giù con la barella e usarono una carrucola. Tornato in Grecia riuscirà finalmente a esplodere, con le sue squadre cercavano di frenarlo mettendogli un trainer, o meglio una guardia del corpo, che gli impedisse di abbuffarsi, come quando fu trovato in una taverna a sbranare polli interi, mentre il Boston Globe riporta di un pasto con 100 nuggets di pollo.
Questo gigante (di base) buono ha anche perso la pazienza in un paio di occasioni, nel 2010 voleva aiutare i compagni nella rissa scoppiata nell’amichevole (!) con la Serbia, ci vollero diverse braccia per bloccarlo. Nel 2014 nel derby di Tel Aviv fra il suo Maccabi e l’Hapoel rincorse un tifoso in tribuna per picchiarlo ma, come attenuante, aveva ricevuto sputi e insulti razziali. Buon per quello pseudo-tifoso che la sicurezza sia intervenuta prima della carica degna di un rinoceronte.
30 anni compiuti da poco e una che sembra ancora più lunga e intensa per i suoi alti e bassi, ma spalle larghe abbastanza da reggere ogni peso, in tutti i sensi. La forza mentale lo ha portato a tirare dritto contro ogni opinione, a rialzarsi dopo i fallimenti. Perchè con quel fisico, per convincere il mondo che sei un giocatore vero e non un simpaticone folkloristico, ci vuole il doppio dell’impegno. E quello non è mai mancato a “Big Sofo”, big non solo nell’aspetto.