Uno degli anni scolastici più discussi degli ultimi tempi si sta avviando alla conclusione, sciopero degli scrutini permettendo. La riforma della scuola varata dal governo Renzi ha scontentato insegnanti, sindacati e associazioni di categoria, ma non sorprende: difficile che una misura governativa sia popolare, a volte a prescindere. Ma è uno spunto di riflessione per trattare la rappresentazione di un ambiente che non è mai facile, da prendere con le pinze, come si usa dire. La scuola è pur sempre il primo gruppo sociale formato da “estranei”, nel senso di non consanguinei, con cui gli adulti in divenire si confrontano.
Di film sulla scuola o in cui la scuola è ben più di un semplice sfondo ce ne sono tanti, ma quelli che veramente hanno lasciato il segno sono pochi. Il tedesco L’Onda (Die Welle) è tra i più inquadrati in tal senso, con l’aula come laboratorio di sperimentazione del tessuto sociale. L’Attimo Fuggente (Dead Poets Society) ci ha commosso con l’empatia creata fra il “capitano mio capitano” Robin Williams e i suoi studenti, catturati dagli innovativi metodi di insegnamento. La Classe (Entre Les Murs) fa vedere uno spaccato delle periferie francesi, situazioni difficili legate alla povertà e all’immigrazione. Un po’ come il nostro La Mia Classe, sull’insegnamento dell’italiano ai migranti, e 187, molto più crudo nel mostrare la delinquenza di una comunità messicana negli Stati Uniti, sotto gli occhi del professor Samuel L. Jackson. Non da meno, a dispetto di una fama minore, c’è Class Enemy. Proveniente dalla piccola Slovenia.
Una chiave di lettura evidente del primo lungometraggio di Rok Bicek che è che in un gruppo più o meno chiuso è facile incolpare “l’esterno”. La seconda, esplicitata nel corso del film sia dallo svolgimento della trama che da un dialogo, è che “nulla è tutto bianco o tutto nero”. E si può dire che Bicek abbia subito fatto centro. La classe in questione, come ogni ambiente ristretto, riflette il macrocosmo nel suo micro. Le dinamiche di rapporto, di comunicazione sono le stesse della società in senso più ampio, solo rese estreme proprio perché di dimensioni più limitate, più soffocate dalla limitatezza fisica dello spazio.
Class Enemy, così come L’Onda, riguarda il ceto medio, parla di realtà comuni in cui è facile identificarsi. Bicek fa scatenare gli eventi da una sostituzione per maternità, la disponibile professoressa di tedesco è rimpiazzata dal rigido e severo Robert Zupan. Odiato già per i suoi metodi, Zupan diventa capro espiatorio dopo il suicidio della studentessa Sabina, vista parlare con il professore in questione poco prima dell’insano gesto. La classe emette il verdetto: Zupan, la scuola, i genitori, il sistema hanno preteso troppo da un’anima fragile che non ha retto la pressione. Inizia una sorta di protesta/boicottaggio che finisce per coinvolgere anche il resto del corpo insegnanti.
Ma la compattezza iniziale e l’innocenza degli alunni vanno disgregandosi con il proseguire degli eventi, in un tutti contro tutti fatto di astio, rinfacciamenti (gli studenti accusano i professori di essersi disinteressati, ma nemmeno loro avevano mai ascoltato veramente Sabina), razzismo (contro il cinese Chang), colpi bassi (contro Luka, accusato di avere l’immunità su tutto perché appena rimasto orfano). Non poteva andare diversamente, visto che genitori e insegnanti non ne escono meglio, tesi solo a difendere i propri interessi… di classe, da intendersi stavolta in senso quasi marxista.
Omologazione, unità corporativa pronta ad essere spezzata perché alla fine è il singolo che conta, dito puntato contro l’ultimo venuto, sono gli elementi non mostrati subito ma svelati a poco a poco, in un’evoluzione del film che non è solo lineare (temporalmente lo è) ma cambia prospettiva a 360°. Perché appunto niente è tutto bianco o tutto nero, solo bene o male. Tra le righe si legge, neanche tanto velatamente, la società in cui viviamo. Resa a microcosmo.
L’Onda era arrivata a ragionamenti simili con uno stratagemma non naturale, come invece le circostanze di Class Enemy. Per questo la lezione di vita te la sbatte in faccia ancora con più veemenza. Nella settimana di autogestione, l’innovativo professore Rainer Wenger riprende un esperimento della California fine anni ’60: dimostrare come anche nella modernità possa ricrearsi una dittatura. La sua classe deve affrontare il tema dell’autocrazia, vengono impostate alcune regole base da osservare. Quello che sembra un gioco aggregante prende contorni sempre più inquietanti, per di più in pochi giorni. Dall’amicizia si passa alla logica del branco, senza spazio per i dissidenti. La cosa bella è che il regista Dennis Gansel riesce a ribaltare ogni concezione logica: lo spettatore è istintivamente portato all’identificazione col gruppo, le voci fuori dal coro sembrano quelle “fastidiose”, da guastafeste. Poi ci si ricorda che è importante che ci siano, che riportano alla realtà, al confronto, alla democrazia.
Nonostante l’Italia abbia visto produzioni migliori, il film sulla scuola – e i il mondo degli adolescenti che la frequentano – diventato culto è Come Te Nessuno Mai di Gabriele Muccino. Alla faccia della “buona scuola” di Renzi. E del buon cinema.