Recentemente il fondatore del Front National Jean-Marie Le Pen, intimando alla figlia Marine di non usare più il cognome di famiglia per una divergenza di opinioni, le ha consigliato di farsi chiamare Philippot. La frecciata è in realtà doppia, chiaramente contro la figlia ma anche contro il vicepresidente del Fn, il sopracitato Florian Philippot appunto, notoriamente omosessuale. Ma come, il numero due di uno dei partiti più intolleranti d’Europa non rispecchia la tradizione dell’uomo di estrema destra (sostanzialmente fascista, per il Fn si può arrivare a tale definizione) macho?
Ben più nota è la simpatica vicenda accaduta a Jorg Haider, leader indiscusso del Fpo, Partito delle Libertà austriaco, che di liberale aveva ben poco. Bene, lo xenofobo e omofobo Haider morì circa un lustro fa per un incidente stradale… dopo una notte brava in un locale per gay. Solo dopo la triste dipartita dell’ex governatore della Carinzia uscì fuori la storia della sua relazione extraconiugale – nota e accettata dalla moglie Claudia – con Stefan Petzer, che nell’Fpo avrebbe colto l’eredità di Haider.
In Italia non abbiamo avuto casi del genere, almeno non ufficialmente. Restano sempre i dubbi sulla spiegazione di Maurizio Gasparri, noto difensore dei valori della famiglia, ex fascista e ora “ripulito” senatore di Forza Italia, per essersi trovato in via Gradoli, zona di trans frequentata fra gli altri da Piero Marrazzo. “Mi ero perso”, si giustificò. Anche di tanto, vista la lontananza di via Gradoli, ai limiti del Raccordo Anulare, praticamente da tutto. E poi c’è l’ottimo Lele Mora, autodefinitosi “mussoliniano e bisessuale”. Ma non è un politico, anche se il suo periodo di influenza – nello spettacolo però – ce l’ha avuto, alla corte di Silvio Berlusconi.
Le contraddizioni del rapporto ideologia/omosessualità nel nazismo sono ancora più evidenti e inquietanti. Nel suo libro Omosessuali di destra, Marco Fraquelli ci svela come Hans Bluher, giornalista e scrittore, già nel 1912 anticipò i tempi sostenendo che il corpo degli scout dell’epoca (Wandervogel, confluito in seguito nell’Hitlerjugend), poi usato per le coreografie tanto care al Fuhrer, era tenuto insieme dall’omoerotismo: questo collante serviva anche per scremare, per fare emergere i leader. Nella Germania che raccoglieva i pezzi dopo la Prima Guerra Mondiale, l’omosessualità avrebbe ridato la grandezza perduta. Almeno così pensava Bluher. Michael Kuhnen, esponente di spicco del movimento neonazista post bellico, pensava addirittura che i gay, non sprecando tempo a costruire una famiglia, potevano dedicarsi totalmente alla causa, cioè la fondazione di una grande nazione che difendesse la razza. Per la cronaca, morì di aids nel 1991, quando ancora si pensava che l’hiv fosse una piaga esclusiva degli omosessuali.
Le voci riguardano e riguardavano anche Adolf Hitler, per il mistero sulla sua vita sessuale, raccolta in documenti poi distrutti. In particolare si parlava di una relazione, mai confermata ovviamente, con “l’architetto del reich” Albert Speer, un rapporto americano del 1955 garantisce sulla sua omosessualità repressa. Ma chi lo scrisse odiava i nazisti ed era omofobo… l’associazione viene da se, ed è piuttosto infantile. Quello che è certo è il paradosso di Hitler, che accolse nel partito omosessuali dichiarati all’inizio per poi ostacolarli o eliminarli nella seconda metà degli anni ’30 – vedi i contrasti con Rohm fino alla notte dei lunghi coltelli. Quindi con la Seconda Guerra Mondiale si arrivò alla popolazione, con le deportazioni nei campi di concentramento, che oltre agli ebrei riguardavano rom, gay, delinquenti comuni, tutti quelli che corrompessero razzialmente o moralmente la società.
Si arrivasse almeno a comizi pro indissolubilità della famiglia, formata da due padri e prole, purché tutti rigorosamente ariani. Ma così un senso logico, anche sforzandosi a trovarlo…