Non solo distacco dalle cose materiali e non violenza, non solo monaci che si danno fuoco pur di non reagire (e certo che l’invasione cinese ha avuto vita facile in Tibet!). Anche il buddhismo presenta aspetti molto terreni, che rientrano nell’alveo della tradizione non tanto occidentale – per forza di cose si è a ovest dell’estremo oriente, teorie di Colombo a parte – quanto monoteista. Violenza inclusa.
“Il buddhismo non fa eccezione rispetto al pericolo del fondamentalismo, presente in tutte le tradizioni religiose”, ammette Riccardo Venturini, presidente del Centro Italiano di Cultura Buddhista di Roma, in un’intervista per Vatican Insider. “Si legittima la violenza per azioni che sarebbero a fin di bene come accaduto in passato con le crociate o il fanatismo islamico, laddove pulsioni identitarie prendono il sopravvento sulle rispettive tradizioni spirituali”. Negli anni ’30 e ’40, ricorda Venturini, “il buddhismo zen giapponese fu favorevole all’invasione della Cina e fautore di un militarismo mai rinnegato”.
Lo stesso Tibet, come riporta lo studioso inglese Sam van Schaik, ha una “normalissima” storia di guerre, poteri assoluti, complotti e quanto più riporti agli eventi succedutisi nei secoli nel Vecchio Continente. Mao, ai tempi della conquista, parla di torture medievali come stringere il cranio fino a far schizzare fuori i bulbi oculari. Ed era il 1950.
Certo, non sono mai stati compiuti orrori su larga scala come colonialismo, 11 settembre & terrorismo, occupazione della Palestina, ma anche Sri Lanka e Myanmar hanno il loro bel curriculum di intolleranza. Ed è ovvio, come per le altre religioni, che episodi più o meno diffusi non rappresentano un credo, una popolazione, un ideale. Rappresentano solo chi compie determinate azioni. Dovrebbe essere superfluo da aggiungere, ma non si sa mai. Per parafrasare Reza Aslan, questo resta un problema di Sri Lanka e Myanmar, non del buddhismo.
Non si sa perché conosciamo tutto dell’Isis e non del “Bin Laden asiatico”, come è definito Ashin Wirathu (ma la buonanima non era in effetti asiatica, in quanto saudita?), leader spirituale ma soprattutto anti-islamista birmano. Solo un fatto di comunicazione, eccellente nel califfato grazie agli studi in Europa e Stati Uniti? Un banalissimo disinteresse verso chi non ha risorse energetiche come petrolio e gas? Altro?
Classe 1968, Wirathu vive la contraddizione di considerarsi uomo di pace pur definendo “nemici” i musulmani, l’accusa sostiene che i suoi discorsi fomentino le persecuzioni contro questa minoranza. Il 20 giugno 2013 Wirathu si è guadagnato la copertina del Time Magazine con la menzione di “volto del terrore buddhista”. “Puoi anche essere pieno di gentilezza e amore”, dichiara candido Wirathu, “ma non puoi dormire a fianco di un cane pazzo”, leggi gli islamici. Del resto è solo preoccupato delle violenze che questi compiono in nazioni confinanti (Bangladesh) o comunque non troppo lontane (Afghanistan e Pakistan). E se accadesse anche nell’ex Birmania (che ha appena il 4% di maomettani)? Nel dubbio si oppone a matrimoni misti e alla libera imprenditoria musulmana.
Un detto buddhista recita: “un uomo non è Eletto perché uccide gli esseri viventi. Perché si astiene dal fare male a tutti gli esseri, perciò è chiamato Eletto”. È destino dei messaggi di pace che tutte le religioni hanno di essere ignorati.