Dalla metà del XV secolo iniziò a diffondersi l’espressione “mamma li turchi”, in un periodo di scorribande ottomane nei mari dell’Italia meridionale. Adattando la realtà dell’epoca alla situazione attuale non cambia molto, già che l’uomo medio si vede e sente invaso dai migranti venuti dal mare, perlopiù musulmani come gli “infedeli” seguaci del Saladino. Peccato che non sia vero, almeno non del tutto.
Uno studio dell’istituto di ricerca Ipsos Mori della Gran Bretagna ci relega all’ultimo posto per ignoranza – in senso letterale – sui fenomeni migratori e più in generale socio/anagrafici che ci riguardano. Non che agli altri vada molto meglio, ma va comunque meglio: nessuno ha la percezione distorta come la nostra.
A fronte di un 7% di migranti effettivamente presenti nello Stivale si crede siano poco meno di un terzo della popolazione totale. E i musulmani non sono il 20%, ma appena il 4%. Almeno le proporzioni sono rispettate: considerando irrilevante per le statistiche il numero di italiani convertiti, molti migranti vengono dal cattolico Sudamerica, l’ortodossa Europa dell’est e il variegato – fra buddhismo, induismo, taoismo, confucianesimo – oriente.
A questi dati andrebbero aggiunti quelli sulle modalità di arrivo, non rilevati nello studio specifico. Basta accendere un qualsiasi tg per vedere Lampedusa e le migliaia di morti annuali nel Mediterraneo o gli sfiniti sopravvissuti soccorsi dalla Guardia Costiera. Secondo la Caritas sono appena il 20%, la stragrande maggioranza approda via terra o quando gli va bene aerea.
Buttare la croce solo addosso alla popolazione sarebbe ingiusto, come si dice “nessuno nasce imparato”, quindi se non vengono forniti dati ufficiali o corrispondenti alla realtà come biasimare gli intervistati esagerati? Le responsabilità maggiori sono di media e politica, senza fare facile qualunquismo. O più ampiamente delle leggi di mercato, se non crei scalpore non vendi, se non allerti il popolo, questo non ti vota. Sì, avrai detto la verità, ma che ci si fa con la gloria?
Il sociologo tedesco Ulrich Beck riconosce l’aumento dell’audience grazie a violenza e paura, testimonianza “dell’irresponsabilità organizzata di certi gruppi mediali”.Il condizionamento psicologico e sociale crea uno smarrimento che attrae la massa in un piacere distorto nel provare insicurezza placata poi dagli stessi media, ruolo che in un certo senso è stato tolto ad altre istituzioni come la Chiesa.
Michael Moore ci ha svelato in Bowling for Columbine come i servizi giornalistici americani siano legati a doppio filo alla cultura del sospetto e alla manipolazione del grande pubblico, ma non è che sia un’invenzione d’oltreoceano. La paura e il bisogno di protezione seguente sono alle radici del controllo politico dalla notte dei tempi e certi media sono il braccio armato, sempre più capillare e accurato. Così come è ancora valido il “dividi et impera” di derivazione romana (antica) che disgrega anziché aggregare ma sempre in funzione di addomesticamento: se ci mettiamo contro i migranti perdiamo di vista l’obiettivo comune di sviluppo, entrando nell’abusato termine di “guerra fra poveri”, vedi i fatti romani (contemporanei) di Tor Sapienza.
Non può consolare nemmeno il fatto che le percezioni sono alterate anche su noi stessi, perché lo sono sempre in senso pessimista: si pensa che la disoccupazione sia vicina al 50%, che vale per quella giovanile mentre quella generale si attesta al 12%. E che gli over 65 siano pure intorno a metà popolazione, quando non arrivano ad un quarto. Forse non è un paese per vecchi. O magari sì, ma non così tanto.