Quando si pensa ai movimenti studenteschi e operai del Sessantotto, vengono in mente Parigi, San Francisco e la Summer of Love, o la Primavera di Praga, con la Cecoslovacchia che cerca di ribellarsi senza troppo successo all’Unione Sovietica. Ma c’è anche già chi, da tre anni, è passato per quelle stesse proteste e istanze per trasformare la società: l’Olanda.
Alla fine dell’Ottocento Amsterdam sta vivendo una nuova fase di prosperità, dopo che nel Seicento era stata praticamente il centro del mondo, per poi declinare lentamente per via dei conflitti con Regno Unito e Francia.
Ma durante la Seconda Guerra Mondiale i Paesi Bassi vivono una delle peggiori situazioni della loro Storia. L’Olanda viene invasa e conquistata senza problemi dalla Germania nazista, nonostante la dichiarata neutralità. La famiglia reale e il governo scappano, ma soprattutto c’è un altissimo numero di collaborazionisti, che contribuiscono alla “soluzione finale”. Al censimento del 1941 risultavano residenti nel Paese 140 mila ebrei, di questi saranno deportati in 107 mila, con un’esigua percentuale di sopravvissuti (poco più di 5000).
Come accaduto più o meno ovunque, una volta finita la guerra si fanno i conti in maniera approssimativa, con troppe auto-assoluzioni. Ma le nuove generazioni, che guardano alla tragedia con occhi diversi, non ci stanno e pensano a come imprimere una svolta sociale.
A prendersi carico delle spinte anti-autoritarie, anarcoidi e libertarie è, nel 1965, il movimento Provo, diminutivo di “provocazione” (parola che in olandese non cambia molto), epiteto affibbiato dal sociologo Wouter Buikhuisen per via dell’organizzazione di eventi (appunto) provocatori. I fondatori sono Robert Jasper Grootveld, artista trentenne, e i circa ventenni attivisti anarchici Roel van Dujn e Rob Stolk.
Già nel 1964, Grootveld prende di mira l’industria del tabacco e un suo inconsapevole simbolo, la statua Het Lieverdje di piazza Spui, punto di incontro per gli avvenimenti di Provo. Il monumento raffigura solo un ragazzino di strada, ma è stata commissionata da un industriale del tabacco di Eindhoven.
Nel 1965 Provo si fa portavoce di istanze ambientaliste, attraverso la proposta “biciclette bianche”, il più famoso della serie di “progetti bianchi”. Si chiede la distribuzione pubblica di biciclette (simbolo del movimento) da condividere tra la popolazione, riducendo in tal modo il traffico automobilistico. Anticipano di 30 anni l’idea di bike sharing.
Ma si parla anche di tassazione sull’inquinamento, occupazioni di edifici abbandonati, contraccettivi, libertà ed educazione sessuale, omosessualità, cannabis, più in generale di diritti e libertà individuali e opposizione alle forme autoritarie, capitalismo, consumismo, fascismo e comunismo – motivo, quest’ultimo, che attirò le critiche dei socialisti marxisti, che imputavano a Provo la scarsa sensibilità verso il proletariato e un riformismo di stampo capitalista, non realmente rivoluzionario.
Nonostante il pacifismo di fondo, i rapporti con le forze dell’ordine sono tesi, tra arresti, sequestri di pubblicazioni e volantini, scontri. Non a caso, tra i punti di Provo c’è anche il “pollo bianco”, dal gergo olandese per “poliziotto”, kip, traducibile con il comune gallinaceo.
I Provo auspicano una riorganizzazione della polizia, disarmata e realmente al servizio della società, che vada oltre la semplice funzione di “guardie”. In aggiunta, chiedono l’elezione dei commissari. Uno degli episodi cardine è l’assassinio, da parte delle forze dell’ordine, dell’operaio edile Jan Weggelaar, durante uno sciopero indetto dalla categoria – cui partecipano anche i Provo. La brutalità della polizia contribuisce all’accrescimento del consenso verso i Provo.
Ma è un altro l’avvenimento, più goliardico nelle intenzioni, che sancisce la fama dei Provo. Il 10 marzo 1966 la principessa Beatrix convola a nozze con il tedesco Claus van Amsberg, figlio di una baronessa e di un nobile non titolato, reo di un passato adolescenziale nella Hitlerjugend, la Gioventù hitleriana – a sua discolpa, l’iscrizione non era facoltativa.
La protesta dei Provo include distribuzione di volantini, fumogeni per disturbare il corteo nuziale e soprattutto un finto discorso a nome di Beatrix, in cui la principessa annuncia una svolta anarchica e la trattativa per la transizione del potere a favore dei Provo. Anche qui, però, la polizia reagisce con una controproducente durezza, con arresti e feriti.
La strategia non violenta dei Provo, nel lungo periodo, avrà la meglio. Grazie alla mutata opinione pubblica, sconvolta dalla brutalità delle forze dell’ordine, tra il 1966 e il 1967 si dimettono prima il capo della polizia di Amsterdam, Hendrik Jan van der Molen, poi il sindaco Gijsbert van Hall.
Proprio quando arriva un consenso tangibile, con l’elezione di Bernard de Vries a consigliere comunale di Amsterdam, nel 1967 Provo opta per lo scioglimento. Un po’ perché molti membri, a partire da van Duijn, continuano l’attivismo in forme meno scanzonate, attraverso il gruppo anarchico Kabouters o altri di sinistra ecologista. Un po’ per la consapevolezza del movimento dell’impossibilità di una rivoluzione radicale.
I Provo conoscono bene la difficoltà di stravolgere totalmente la mentalità delle masse, non sono utopisti. Più che alla rivoluzione, infatti, mirano a un graduale cambiamento dall’interno – tornando alle critiche della sinistra marxista. Considerando però che molti punti del programma dei Provo, di fatto, siano stati fatti propri dall’Olanda degli anni a venire, sembra che alla fine il movimento abbia visto (abbastanza) soddisfatte le sue richieste, dimostrando l’utilità anche di un certo pragmatismo.
Gruppi ispirati ai Provo sorgono, nello stesso periodo, in tutta Europa e perfino negli Stati Uniti, dove i beat avevano già una decina d’anni di attività alle spalle. Vero è che Parigi, San Francisco, gli hippy ruberanno la scena, ma si può dire che in Europa, all’arrivo del caldo Sessantotto, l’Olanda abbia già avviato da tre anni quel processo di mutamento culturale.