(Segue da Calcio e regime…) L’11 settembre, prima ancora di segnare un importante spartiacque della Storia contemporanea, era già passato agli annali per un altro evento nefasto. In quella data del 1973 il Cile viene sconvolto dal golpe militare portato avanti dal generale Augusto Pinochet, che rovescia il legittimo governo socialista retto da Salvador Allende.
Siccome gli dei del calcio sanno essere bizzosi, lo spareggio di qualificazione ai mondiali tedeschi del novembre 1974 mette di fronte Cile e Unione Sovietica, che aveva insignito proprio Allende con il premio Lenin per la pace, la versione oltre cortina del Nobel. L’URSS rifiuta di mandare la squadra in Sud America a giocare il playoff di ritorno, per di più in uno stadio dove il neonato regime ha torturato numerosi dissidenti e che al momento della partita forse ancora nasconde prigionieri nei sotterranei – inosservati dagli ispettori neutrali.
Per dare valore simbolico al pass per Germania ’74, la squadra di casa viene comunque fatta scendere in campo, senza avversari, per segnare un gol nella porta ovviamente sguarnita. Tra gli undici andini c’è anche l’idolo del Colo Colo, Carlos Humberto Caszely, grande finalizzatore ma, soprattutto, di dichiarate simpatie socialiste e pro Allende.
Non è lui a calciare in rete, è il capitano Valdes. Anzi, dirà in seguito che aveva addirittura meditato il gesto forte, buttare via la palla, visto che tutti e undici i calciatori avrebbero dovuto toccare palla prima del gol. Ma pare che anche Valdes non fosse particolarmente entusiasta di questa pantomima e che entrambi, al rientro negli spogliatoi, abbiano somatizzato (e rigettato) il mix di rabbia, vergogna e paura.
Tuttavia, Carlos avrà la forza di non stringere la mano a Pinochet, che riceve la Nazionale per salutarla prima della partenza verso la Germania. Sarà solo ai mondiali tedeschi però che Caszely si “guadagnerà” il bando ufficiale dal regime. Si fa espellere (primo cartellino rosso della storia dei campionati del mondo) per un pugno al tedesco (federale) Berti Vogts, vuole la teoria del complotto che la motivazione fosse saltare la partita successiva contro la comunista Germania Est – a proposito di bizze degli dei del calcio, le due Germanie sono nello stesso girone.
Il problema è che Caszely è troppo popolare in patria per finire nel dimenticatoio. Dopo aver mancato Argentina ’78, il Cile si qualifica per Spagna ’82 e i tifosi pretendono la convocazione. Il “perdono” può essere sfruttato da Pinochet per ripulire la propria immagine, almeno così spera il generale. Ma ancora una volta Caszely lo delude, sbagliando un decisivo calcio di rigore contro l’Austria. Il regime la prende sul personale, convinto che l’errore dal dischetto non sia stato involontario (come confermato da Carlos), ma frutto di un piano premeditato dal sovversivo socialista.
L’ultima parola però ce l’avrà proprio Caszely. La nuova Costituzione voluta da Pinochet nel 1980 prevede un plebiscito al termine di ogni mandato presidenziale, con un semplice quesito: rinnovare la guida del generale o cambiare pagina. Il popolo cileno è chiamato alle urne il 5 ottobre 1988.
Carlos sa di essere un privilegiato sotto molti punti di vista, tanti oppositori al regime non hanno il suo stesso status di (quasi) intoccabile. Ma grazie a questi privilegi è in una posizione mediaticamente rilevante, sente la responsabilità e il potere di spostare tanti voti. Per farlo non serve chissà cosa, basta raccontare la sua storia personale.
Quell’11 settembre 1973 lui è in Spagna, che a sua volta è agli sgoccioli del franchismo, sotto contratto con il Levante. Si informa come può, tramite quello che legge sulla stampa, sconvolto dal susseguirsi degli eventi.
Finché arriva il coinvolgimento diretto, con la partita farsa di cui sopra. Caszely si sente, è, come tutti i compagni, manovrato dalla macchina di propaganda governativa. Sul momento gli manca il coraggio per mostrare platealmente il dissenso, buttare fuori la palla come aveva pensato. Probabilmente quello stadio evoca immagini troppo dure per immolarsi con tanta facilità. Ma per lui è l’ultimo “sì” a Pinochet.
Ovviamente schierato con il fronte del no al referendum, Caszely rende pubbliche le violenze subite dalla madre Olga, che “paga” l’attivismo del figlio. Girano un video in cui la signora Olga, sconosciuta ai più, racconta gli abusi governativi, quella violenza in cui il dolore fisico passa, ma quello morale, interiore, no, non può farlo. Sullo sfondo c’è lo stemma del Colo Colo, la squadra di Carlos, che alla fine entra in scena svelando il legame tra i due e i motivi per cui non rinnovare il mandato di Pinochet.
È sicuramente riduttivo condurre la sconfitta di Pinochet al messaggio di Caszely, ma è altrettanto pacifico riconoscere che il peso specifico di certi personaggi, popolari, amati, in uno dei tanti Paesi che vive il calcio come una religione, non possa essere stato indifferente. E che il legame tra sport (o qualsiasi forma di intrattenimento) e politica, fortunatamente, non è necessariamente a senso unico.