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Destra e sinistra non sono ideologie superate

Da qualche anno sta passando l’idea che non esistano più le ideologie storiche. Niente destrasinistra, la divisione è tra popolo e poteri forti, tra la gente normale estranea agli interessi politici e finanziari ed establishment. Per questo Donald Trump ha battuto Hillary Rodham Clinton, la Brexit ha vinto il referendum contro i burocrati europei, i cosiddetti populismi vanno alla grande in tutta Europa. Ma non è così. Gli schieramenti sono sempre gli stessi, solo cambiano i nomi, il glossario e i rapporti di forza tra le parti in gioco.

Le ideologie degli Stati moderni affondano le radici nella fine degli assolutismi, al termine del XVIII secolo. L’ascesa della borghesia portava avanti con sé un discorso liberale, soprattutto dal punto di vista economico. A livello sociale la democrazia, come la intendiamo ora, era ancora lontana, nonostante i tentativi della Rivoluzione francese e di quella americana. Basti pensare che i padri fondatori degli Stati Uniti fossero schiavisti che nella dichiarazione di indipendenza parlavano di “uomini creati uguali” (purché non donne o neri).

Le trasformazioni in atto hanno portato anche alla nascita del nazionalismo, che poteva essere inteso in due modi. O la liberazione dei popoli dal giogo straniero o la supremazia del proprio Paese verso gli altri. La seconda interpretazione, purtroppo, ha portato all’imperialismo e al colonialismo sfrenato. Perché è vero che questo è sempre esistito, ma era perlopiù “limitato” a punti costieri strategici per il commercio – anche di esseri umani. Ora diventava sistematico e totale e le conseguenze si riflettono tuttora.

La leggenda metropolitana di Trump difensore del popolo contro l’establishment

Come risposta all’alienazione delle masse dei lavoratori causata dall’industrializzazione nasce invece il socialismo. Anche questo aveva riferimenti più antichi, a partire da Platone, ma è nel XIX secolo che diventa una teoria specifica, basata su uguaglianza e collettivismo.

Il nazionalismo è praticamente stato la causa delle due guerre mondiali, ma con presupposti diversi. Nella prima è stato uno dei motori che ha fatto crollare gli imperi centrali, l’austro-ungarico e l’ottomano. Ma ha finito per “consegnare” i governi europei al liberalismo, con l’eccezione della Repubblica di Weimar, più di stampo socialdemocratico.

La reazione ha portato ad altri tipi di nazionalismo. In Italia, Germania e Giappone su tutti (lo si sa bene), ma anche in Spagna, Portogallo, Ungheria. L’altra opposizione era quella socialista, ma molto meno forte, letteralmente. Così la retorica identitaria ha portato al secondo conflitto mondiale, che avrebbe dovuto imprimere una svolta storica che effettivamente c’è stata. L’unico merito è quello di aver contribuito ad affossare lo Stato liberale “classico”, deficitario in senso democratico e rappresentativo. Ma ad un prezzo troppo alto.

Il mondo bipolare della Guerra Fredda contrapponeva il capitalismo, erede del liberalismo, al comunismo, costola del socialismo. Ma a livello “periferico” c’era tutta un’altra realtà. Le superpotenze si contendevano ogni luogo come a Risiko, vero, ma all’interno di questi Paesi erano forti i movimenti di liberazione nazionale. Sia dove si lottava per l’indipendenza e la fine del colonialismo, sia dove l’indipendenza c’era già da un secolo ma solo formalmente (quasi tutta l’America centro-meridionale).

Il duopolio era quindi capitalismo contro socialismo reale, ma il nazionalismo destrorso non era morto. Neanche in Europa, proprio dove i danni erano stati maggiori. Questo giusto per far capire come le tre ideologie fossero vive, evolute rispetto agli anni in cui erano state concepite, ma sempre lì. Con le diverse specificità, ovviamente.

Ad esempio l’Italia aveva il partito comunista più grande (fra i Paesi democratici), mentre i socialisti erano finiti con l’accentrarsi e allearsi con i democristiani, rinvigoriti nell’immediato dopoguerra dai soldi di zio Sam e quindi ascrivibili pienamente nell’area liberale – anche se per un capitalismo più moderato. La destra nazionale e sociale era marginale, tranne nel 1952, quando per le comunali romane la Dc pensava ad un’alleanza con il Msi in chiave anti-sinistra. L’ipotesi poi non è andata in porto perché troppo sconveniente dal punto di vista dell’immagine.

Il mite Vladimir Putin, protettore degli interessi del suo popolo…

Ora il rapporto si è ribaltato, le destre sono in ascesa ovunque fosse impensabile. Italia, Germania, Svezia, Olanda, Francia, meno in Spagna anche se si è affacciata per la prima volta nel parlamento andaluso. Destre che molto spesso hanno eroso il consenso a sinistra, conquistando quel malcontento popolare che appunto una volta si riversava da tutt’altra parte. E la sinistra (quella un po’ più radicale) ha buoni numeri solo in Spagna – dove però non arriva al governo se non in realtà locali come Barcellona – o in Grecia, dove però si è dimostrata ineffettiva.

Un breve riepilogo storico, per quanto rapido e sommario, è necessario per comprendere meglio quanto sta accadendo e per tornare all’assunto di partenza. Ovvero, la lotta tra establishment e popolo non è una novità e tutto scorre nello stesso alveo di duecento e oltre anni fa, secondo una tripartizione che non si è discostata dalla classificazione destra (figlia del nazionalismo), sinistra (erede del socialismo) e centro (capitalista e liberista).

Gli estremismi di destra e sinistra avevano in comune più di quanto gli aderenti a queste ideologie volessero far credere. Da una parte l’opposizione agli Stati Uniti, al capitalismo, alla borghesia – quelli che adesso sarebbero i “poteri forti” – dall’altra l’ostentazione dell’estrazione popolare.

Solo che la destra era ed è nazionalista, conservatrice della tradizione, gelosa di un’identità fino al punto di essere miope davanti al cambiamento inesorabile. La sinistra, ideologicamente, ha vocazione internazionale (la pratica è stata un bel po’ diversa).

E qui potrebbe stare una delle motivazioni che ha spostato il consenso: gli effetti della globalizzazione. Quelli che più fanno rumore sono quelli negativi, lo sfruttamento di Paesi che ha aumentato il divario economico, la delocalizzazione che ha portato disoccupazione in Occidente senza migliorare le condizioni delle realtà incluse nel processo produttivo. E poi ci sono le migrazioni di massa, il nemico comune ricompatta meglio di tutto il resto.

Brexit, uno dei tanti voti cosiddetti “di pancia” in cui destra e sinistra poco hanno a che fare

Il tutto unito a una campagna di comunicazione (per non dire propaganda) efficace almeno su due fronti. Da un lato ti fa credere che Trump sia l’uomo giusto contro i “poteri forti” (non che Hillary Rodham Clinton non rappresenti il famoso establishment, per carità, ma Trump non è da meno), che Putin abbia a cuore il suo popolo, che la Brexit sia il riscatto contro la burocrazia eurocratica, che l’identità e l’orgoglio nazionale siano la base fondante di ciò che siamo e non una casualità genetica.

Dall’altro convince che i rigurgiti nazionalisti non abbiano nulla a che fare con l’estremismo di destra. Ancora destra e sinistra? Ma se sono categorie superate! Ora la lotta è tra popolo e chi detiene il potere decisionale economico, finanziario e politico. Cioè quello che è sempre successo.


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